Sidonio dimostra nelle sue lettere di avere interesse per il mondo giuridico, che conosce, peraltro, in maniera poco più che elementare: stima, infatti, un oscuro oggetto la produzione letteraria del giureconsulto e afferma che le parole proprie di un modo di parlare austero e assai antico, potrebbe spiegarle più facilmente di lui “un letargico confezionatore di enigmi su questioni” legali. Durante la sua vita, dovette a ogni modo trovarsi a svolgere le funzioni di iudex: fu praefectus urbi per un anno e vescovo dal 471. Alcune delle sue lettere suffragano, tuttavia, l’idea di una decisa ritrosia del vescovo Sidonio a giudicare le cause (civili) instaurate presso di lui: egli cerca, di regola, di trasferire la lite ad altri vescovi. Le sue lettere non mancano di offrire, altresì, alcune informazioni circa temi sia di diritto penale che di diritto privato. Da ep. 4. 23.1 si viene a conoscere che intorno al 470 d.C. nella Gallia romana ai parricidi ancora si dava la pena del sacco. A tali criminali, stando a Sidonio, si sarebbe potuta comminare, peraltro, anche la pena della croce. E allora la portata del provvedimento costantiniano, che avrebbe abolito la crocifissione potrebbe aver avuto una portata ben più limitata rispetto a quanto si è troppo facilmente creduto. Per l’ipotesi di abbandono del padre, ep. 4.23.1 prevede la sanzione privata dell’abdicatio, che si fa quindi fatica a credere fosse stata oggetto, circa due secoli prima, di un netto divieto legislativo a opera di Diocleziano. Ebbene ep. 4.23.1 potrebbe valutarsi quale elemento a sostegno della interpretazione secondo cui Diocleziano avrebbe interdetto non l’abdicatio in sé, ma esclusivamente l’uso improprio di essa, finalizzato alla vendita dei figli. Da ep. 3.12, si viene a sapere, poi, che il vescovo sarebbe stato competente per reprimere il comportamento tenuto da alcuni maldestri becchini, che avevano tentato di profanare la tomba del nonno di Sidionio. Dunque, i vescovi intorno al 470 dovevano normalmente estendere la loro competenza giurisdizionale anche alla repressione dei crimini comuni, senza alcuna necessità dell’assenso del reo a essere sottoposto a un giudizio episcopale. Forse, tuttavia, ciò, almeno in alcuni casi, non avveniva, formalmente, in completo contrasto con quanto disponevano le leges imperiali; come è stato sostenuto, da parte della chiesa si tendeva a interpretare in maniera assai estesa il concetto di lievi delitti pertinenti ad religionis observantiam, per i quali CT. 16.2.23 del 376 prevedeva appunto la competenza del tribunale sinodale. Se la profanazione è, in effetti, un delitto che riguarda anche la religione, la non gravità del fatto deriva soltanto, se non erro, dalla mancanza del dolo e dal fatto che il delitto non è stato del tutto portato a compimento. I supplicia che il vescovo avrebbe potuto legittimamente comminare in conformità al mos maiorum sono quelli con cui lui stesso ha punito i colpevoli (ep. 3.12.3). È verosimile che la tortura di cui aveva detto Sidonio (torsi latrones) si sia in realtà attuata tramite una fustigazione, una bastonatura, come fa pensare il caesos del passaggio epistolare citato. Impossibile resta, peraltro, conoscere la natura e l’origine della relativa prescrizione normativa, essendo fin troppo generici i richiami al mos maiorum e al ius (iure caesos). Nell’ambito del diritto privato le pur elementari conoscenze di Sidonio riflettono, almeno talvolta, la nozione che di un certo istituto si era venuta ad affermare a partire dal IV secolo. In ep. 9.11.6, a esempio, mentre in un primo momento egli dice di aver trasmesso la proprietas di un suo libretto etiam all’amico Lupo, sottolinea, subito di seguito, che l’usus di quel libretto è stato trasmesso all’amico senza porre un termine. Ebbene nell’ampio concetto di proprietà che si comincia a incontrare nelle costituzioni imperiali sin dal IV secolo rientrano i diritti reali che, come l’usus conferiscono al titolare l’uso e il godimento della res. Sidonio, che pur trasmette la proprietà del libellus, consente a Lupo di usarlo, ossia di leggerlo e tenerlo nella sua biblioteca fin quando avesse voluto; pare evidente che l’amico non abbia la disponibilità giuridica del libretto: non possa, in particolare, venderlo o farne un uso diverso da quello per il quale gli è stato consegnato. Altrettanto evidente è che Sidonio doveva aspettarsi di riavere prima o poi indietro il libellus; la qual cosa sembra che venga espressa, pur in maniera non giuridicamente ortodossa, nel ricorso all’etiam: la proprietà del libretto è trasmessa ‘anche’ all’amico; quindi Sidonio ne è rimasto in qualche modo proprietario: una sorta di nudo proprietario!
Pietrini, S. (2014). Situazione della giustizia e diritto nella Gallia romana della seconda metà del V secolo. La testimonianza di Sidonio Apollinare. Alcune osservazioni. KOINONIA, 38, 205-233.
Situazione della giustizia e diritto nella Gallia romana della seconda metà del V secolo. La testimonianza di Sidonio Apollinare. Alcune osservazioni
PIETRINI, STEFANIA
2014-01-01
Abstract
Sidonio dimostra nelle sue lettere di avere interesse per il mondo giuridico, che conosce, peraltro, in maniera poco più che elementare: stima, infatti, un oscuro oggetto la produzione letteraria del giureconsulto e afferma che le parole proprie di un modo di parlare austero e assai antico, potrebbe spiegarle più facilmente di lui “un letargico confezionatore di enigmi su questioni” legali. Durante la sua vita, dovette a ogni modo trovarsi a svolgere le funzioni di iudex: fu praefectus urbi per un anno e vescovo dal 471. Alcune delle sue lettere suffragano, tuttavia, l’idea di una decisa ritrosia del vescovo Sidonio a giudicare le cause (civili) instaurate presso di lui: egli cerca, di regola, di trasferire la lite ad altri vescovi. Le sue lettere non mancano di offrire, altresì, alcune informazioni circa temi sia di diritto penale che di diritto privato. Da ep. 4. 23.1 si viene a conoscere che intorno al 470 d.C. nella Gallia romana ai parricidi ancora si dava la pena del sacco. A tali criminali, stando a Sidonio, si sarebbe potuta comminare, peraltro, anche la pena della croce. E allora la portata del provvedimento costantiniano, che avrebbe abolito la crocifissione potrebbe aver avuto una portata ben più limitata rispetto a quanto si è troppo facilmente creduto. Per l’ipotesi di abbandono del padre, ep. 4.23.1 prevede la sanzione privata dell’abdicatio, che si fa quindi fatica a credere fosse stata oggetto, circa due secoli prima, di un netto divieto legislativo a opera di Diocleziano. Ebbene ep. 4.23.1 potrebbe valutarsi quale elemento a sostegno della interpretazione secondo cui Diocleziano avrebbe interdetto non l’abdicatio in sé, ma esclusivamente l’uso improprio di essa, finalizzato alla vendita dei figli. Da ep. 3.12, si viene a sapere, poi, che il vescovo sarebbe stato competente per reprimere il comportamento tenuto da alcuni maldestri becchini, che avevano tentato di profanare la tomba del nonno di Sidionio. Dunque, i vescovi intorno al 470 dovevano normalmente estendere la loro competenza giurisdizionale anche alla repressione dei crimini comuni, senza alcuna necessità dell’assenso del reo a essere sottoposto a un giudizio episcopale. Forse, tuttavia, ciò, almeno in alcuni casi, non avveniva, formalmente, in completo contrasto con quanto disponevano le leges imperiali; come è stato sostenuto, da parte della chiesa si tendeva a interpretare in maniera assai estesa il concetto di lievi delitti pertinenti ad religionis observantiam, per i quali CT. 16.2.23 del 376 prevedeva appunto la competenza del tribunale sinodale. Se la profanazione è, in effetti, un delitto che riguarda anche la religione, la non gravità del fatto deriva soltanto, se non erro, dalla mancanza del dolo e dal fatto che il delitto non è stato del tutto portato a compimento. I supplicia che il vescovo avrebbe potuto legittimamente comminare in conformità al mos maiorum sono quelli con cui lui stesso ha punito i colpevoli (ep. 3.12.3). È verosimile che la tortura di cui aveva detto Sidonio (torsi latrones) si sia in realtà attuata tramite una fustigazione, una bastonatura, come fa pensare il caesos del passaggio epistolare citato. Impossibile resta, peraltro, conoscere la natura e l’origine della relativa prescrizione normativa, essendo fin troppo generici i richiami al mos maiorum e al ius (iure caesos). Nell’ambito del diritto privato le pur elementari conoscenze di Sidonio riflettono, almeno talvolta, la nozione che di un certo istituto si era venuta ad affermare a partire dal IV secolo. In ep. 9.11.6, a esempio, mentre in un primo momento egli dice di aver trasmesso la proprietas di un suo libretto etiam all’amico Lupo, sottolinea, subito di seguito, che l’usus di quel libretto è stato trasmesso all’amico senza porre un termine. Ebbene nell’ampio concetto di proprietà che si comincia a incontrare nelle costituzioni imperiali sin dal IV secolo rientrano i diritti reali che, come l’usus conferiscono al titolare l’uso e il godimento della res. Sidonio, che pur trasmette la proprietà del libellus, consente a Lupo di usarlo, ossia di leggerlo e tenerlo nella sua biblioteca fin quando avesse voluto; pare evidente che l’amico non abbia la disponibilità giuridica del libretto: non possa, in particolare, venderlo o farne un uso diverso da quello per il quale gli è stato consegnato. Altrettanto evidente è che Sidonio doveva aspettarsi di riavere prima o poi indietro il libellus; la qual cosa sembra che venga espressa, pur in maniera non giuridicamente ortodossa, nel ricorso all’etiam: la proprietà del libretto è trasmessa ‘anche’ all’amico; quindi Sidonio ne è rimasto in qualche modo proprietario: una sorta di nudo proprietario!I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/11365/982800
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