Alcuni passaggi del De nuptiis di A. Gentili - un’opera risalente al 1601 che, a causa delle idee che vi sono espresse, verrà messa all’Indice due anni dopo – sembrano testimoniare un Gentili duramente schierato contro il diritto canonico. In essa, oltre alla riproposizione dell’invettiva luterana («Flammis, flammis libros spurcissimos barbarorum... ut Lutherus magnus facere docuit...») vi sono elaborati concetti che certamente appartenevano alla cultura protestante. È sembrato necessario, pertanto, studiare la Disputatio de libris iuris canonici del 1605, al fine di verificare non solo per quale motivo Alberico abbia deciso di dedicare una sua opera a quei libri che, solo quattro anni prima, avrebbe visto volentieri dati alle fiamme, ma anche per comprendere quale fosse, da un punto di vista sostanziale, la sua posizione di giurista in relazione a testi che, in ogni caso, avevano costituito e continuavano a costituire nell’Europa continentale e in Inghilterra un patrimonio di cultura giuridica di grande valore. Contrariamente a quanto si sarebbe propensi a credere sulla base delle affermazioni contenute nel I Libro del De nuptiis sopra riprodotte, Alberico Gentili attribuisce, innanzitutto, un ruolo molto rilevante al Decretum il che, se non altro, sembra rispondere almeno in parte all’atteggiamento complessivo assunto da Lutero in relazione alla Concordia grazianea. Le collezioni canoniche successive al Decreto, a cominciare dal Liber Extra di Gregorio IX, che Alberico illustra sulla base della Rex pacificus - la bolla con la quale il Pontefice l’aveva promulgato - proprio in ragione della potestà legislativa del Papa, hanno i caratteri dell’unità, dell’autenticità e della esclusività, dal che derivano alcune di quelle caratteristiche codificatorie che una recente ed autorevole dottrina ha avuto modo di sottolineare. Ad essi, secondo Alberico, si aggiunge quello della generalità: ne consegue che, con la promulgazione della collezione, le decretali che vi sono contenute hanno valore indistinto, indipendentemente dai destinatari originari. Ne deriva l’assoluta legittimità, da parte del Papa, di emanare norme regolanti la vita della Chiesa e dei suoi appartenenti senza peraltro pretendere che le sue disposizioni abbiano valenza universale: esse, infatti, secondo Alberico, trovano un limite invalicabile nelle legislazioni degli Stati i quali, nell’esercizio della loro sovranità, possono eventualmente recepire in tutto o in parte quelle norme, non perché ad essi originariamente destinate, ma perché, nella sua indipendenza, il legislatore può eventualmente farle proprie, così come può determinare la sua esclusiva competenza nella regolazione di determinate fattispecie negando, per quelle materie, ogni auctoritas alle norme canoniche. Da un punto di vista dottrinale siamo ad uno dei passaggi cruciali dei rapporti fra Chiesa e Stato moderno, alle origini di quel sistema che, pur caratterizzato da accenti e provvedimenti diversi, prenderà il nome di giurisdizionalismo: un sistema che pian piano si affermerà in tutta Europa, a cominciare da quella cattolica, nella quale le relazioni fra le due autorità, laica ed ecclesiastica, si sostanziano nel fatto che la legge è il frutto esclusivo della sovranità, mentre il diritto canonico, avendo perduto gran parte della forza sua propria - forse in ragione del diminuito potere politico del Papa - può entrare a far parte dell’ordinamento statuale solo se ciò è gradito al re legislatore. Così come con il «silete theologi in munere alieno» del De iure belli Alberico aveva sottolineato la netta separazione fra diritto e teologia, contribuendo in tal modo a costituire il presupposto per la creazione dello Stato moderno come luogo di neutralizzazione del conflitto religioso che aveva sconvolto l’Europa, così la sua posizione nei confronti del diritto canonico non conduceva alla negazione dell’applicabilità di quel diritto, ma al riconoscimento di una sua indiscussa valenza ordinamentale, lasciando contestualmente gli Stati liberi di accettarne le norme o di regolare alcune materie secondo le proprie autonome determinazioni. A quel diritto, in ogni caso, doveva far ricorso proprio l’interpres iuris non solo perché testimone di un deposito sapienziale millenario, come nel caso del Decreto, ma anche perché fondato, talvolta, su principii di diritto divino e naturale - «Ratio naturalis potentior est omni edicto principis», aveva affermato a chiare lettere Alberico - dai quali il giurista e nemmeno il Sovrano avrebbero mai potuto prescindere: «Sane in spurcissimis vasculis edulia non meliora comperiemus: quae iussu item iustioris principis sunt abiicienda. Vt sic obtinet ius istud in caussis hic, si legi Dei, et naturae aduersarium non deprehenditur». La veemente apostrofe lanciata nel De nuptiis contro il diritto canonico non dev’essere intesa, quindi, come una negazione del valore dei suoi testi normativi o, ancor peggio, di un tentativo di escluderli dal novero delle fonti del diritto. Se da un lato, infatti, l’attacco può esser giustificato da una presa di posizione ideologica duramente antipapale, nel senso che, essendo l’opera gentiliana dedicata alla materia matrimoniale, si vuole negare alla Chiesa di Roma l’esclusiva competenza a regolare quell’istituto, dall’altro il Gentili non può ignorare che il Decretum costituisce, pur sempre, un deposito di sapienza secolare, al quale, comunque, occorre continuare a far riferimento. Quel testo (del quale occorre comunque fare un'analisi filologica) così come le decretali successive che, pur essendo emanazione della potestas pontificia, sono talvolta fondate su principii di diritto divino e naturale e, talaltra, recepite dai principes all’interno degli Stati territoriali, non possono non far parte del necessario corredo del giurista, proprio per l’esame delle questioni direttamente inerenti al diritto matrimoniale. A tutto ciò si deve aggiungere il fatto che, ad esempio, nella Chiesa anglicana il diritto canonico non è mai stato formalmente abolito continuando a costituire il nucleo del diritto sostanziale integrato dalle sentenze dei tribunali ecclesiastici: soprattutto in Inghilterra si sarebbe manifestato il massimo grado di continuità tra legislazione e pratica giudiziaria canonica medievale e legislazione e pratica canonica post-riforma. Si spiega, quindi, indipendentemente dalle espressioni non propriamente eleganti utilizzate dal giurista di San Ginesio (il che fa parte della sua espressione stilistica, talvolta piuttosto forte e perentoria), la necessità che la legislazione canonica debba essere fatta oggetto di studio. Da giurista Alberico si accinge, quindi, ad illustrare quel Corpus normativo, tralasciando la sua appartenenza religiosa che, pur non essendo ascrivibile con precisione, ad alcuna delle Chiese riformate, era certamente avversa alla Chiesa di Roma: una impostazione – e questo è il fatto più rilevante – dalla quale deriva il riconoscimento di ordinamento giuridico della legislazione canonica.

Minnucci, G. (2007). Alberico Gentili: un protestante alle prese con il Corpus Iuris Canonici. IUS ECCLESIAE, 19(2), 347-368.

Alberico Gentili: un protestante alle prese con il Corpus Iuris Canonici

MINNUCCI, GIOVANNI
2007-01-01

Abstract

Alcuni passaggi del De nuptiis di A. Gentili - un’opera risalente al 1601 che, a causa delle idee che vi sono espresse, verrà messa all’Indice due anni dopo – sembrano testimoniare un Gentili duramente schierato contro il diritto canonico. In essa, oltre alla riproposizione dell’invettiva luterana («Flammis, flammis libros spurcissimos barbarorum... ut Lutherus magnus facere docuit...») vi sono elaborati concetti che certamente appartenevano alla cultura protestante. È sembrato necessario, pertanto, studiare la Disputatio de libris iuris canonici del 1605, al fine di verificare non solo per quale motivo Alberico abbia deciso di dedicare una sua opera a quei libri che, solo quattro anni prima, avrebbe visto volentieri dati alle fiamme, ma anche per comprendere quale fosse, da un punto di vista sostanziale, la sua posizione di giurista in relazione a testi che, in ogni caso, avevano costituito e continuavano a costituire nell’Europa continentale e in Inghilterra un patrimonio di cultura giuridica di grande valore. Contrariamente a quanto si sarebbe propensi a credere sulla base delle affermazioni contenute nel I Libro del De nuptiis sopra riprodotte, Alberico Gentili attribuisce, innanzitutto, un ruolo molto rilevante al Decretum il che, se non altro, sembra rispondere almeno in parte all’atteggiamento complessivo assunto da Lutero in relazione alla Concordia grazianea. Le collezioni canoniche successive al Decreto, a cominciare dal Liber Extra di Gregorio IX, che Alberico illustra sulla base della Rex pacificus - la bolla con la quale il Pontefice l’aveva promulgato - proprio in ragione della potestà legislativa del Papa, hanno i caratteri dell’unità, dell’autenticità e della esclusività, dal che derivano alcune di quelle caratteristiche codificatorie che una recente ed autorevole dottrina ha avuto modo di sottolineare. Ad essi, secondo Alberico, si aggiunge quello della generalità: ne consegue che, con la promulgazione della collezione, le decretali che vi sono contenute hanno valore indistinto, indipendentemente dai destinatari originari. Ne deriva l’assoluta legittimità, da parte del Papa, di emanare norme regolanti la vita della Chiesa e dei suoi appartenenti senza peraltro pretendere che le sue disposizioni abbiano valenza universale: esse, infatti, secondo Alberico, trovano un limite invalicabile nelle legislazioni degli Stati i quali, nell’esercizio della loro sovranità, possono eventualmente recepire in tutto o in parte quelle norme, non perché ad essi originariamente destinate, ma perché, nella sua indipendenza, il legislatore può eventualmente farle proprie, così come può determinare la sua esclusiva competenza nella regolazione di determinate fattispecie negando, per quelle materie, ogni auctoritas alle norme canoniche. Da un punto di vista dottrinale siamo ad uno dei passaggi cruciali dei rapporti fra Chiesa e Stato moderno, alle origini di quel sistema che, pur caratterizzato da accenti e provvedimenti diversi, prenderà il nome di giurisdizionalismo: un sistema che pian piano si affermerà in tutta Europa, a cominciare da quella cattolica, nella quale le relazioni fra le due autorità, laica ed ecclesiastica, si sostanziano nel fatto che la legge è il frutto esclusivo della sovranità, mentre il diritto canonico, avendo perduto gran parte della forza sua propria - forse in ragione del diminuito potere politico del Papa - può entrare a far parte dell’ordinamento statuale solo se ciò è gradito al re legislatore. Così come con il «silete theologi in munere alieno» del De iure belli Alberico aveva sottolineato la netta separazione fra diritto e teologia, contribuendo in tal modo a costituire il presupposto per la creazione dello Stato moderno come luogo di neutralizzazione del conflitto religioso che aveva sconvolto l’Europa, così la sua posizione nei confronti del diritto canonico non conduceva alla negazione dell’applicabilità di quel diritto, ma al riconoscimento di una sua indiscussa valenza ordinamentale, lasciando contestualmente gli Stati liberi di accettarne le norme o di regolare alcune materie secondo le proprie autonome determinazioni. A quel diritto, in ogni caso, doveva far ricorso proprio l’interpres iuris non solo perché testimone di un deposito sapienziale millenario, come nel caso del Decreto, ma anche perché fondato, talvolta, su principii di diritto divino e naturale - «Ratio naturalis potentior est omni edicto principis», aveva affermato a chiare lettere Alberico - dai quali il giurista e nemmeno il Sovrano avrebbero mai potuto prescindere: «Sane in spurcissimis vasculis edulia non meliora comperiemus: quae iussu item iustioris principis sunt abiicienda. Vt sic obtinet ius istud in caussis hic, si legi Dei, et naturae aduersarium non deprehenditur». La veemente apostrofe lanciata nel De nuptiis contro il diritto canonico non dev’essere intesa, quindi, come una negazione del valore dei suoi testi normativi o, ancor peggio, di un tentativo di escluderli dal novero delle fonti del diritto. Se da un lato, infatti, l’attacco può esser giustificato da una presa di posizione ideologica duramente antipapale, nel senso che, essendo l’opera gentiliana dedicata alla materia matrimoniale, si vuole negare alla Chiesa di Roma l’esclusiva competenza a regolare quell’istituto, dall’altro il Gentili non può ignorare che il Decretum costituisce, pur sempre, un deposito di sapienza secolare, al quale, comunque, occorre continuare a far riferimento. Quel testo (del quale occorre comunque fare un'analisi filologica) così come le decretali successive che, pur essendo emanazione della potestas pontificia, sono talvolta fondate su principii di diritto divino e naturale e, talaltra, recepite dai principes all’interno degli Stati territoriali, non possono non far parte del necessario corredo del giurista, proprio per l’esame delle questioni direttamente inerenti al diritto matrimoniale. A tutto ciò si deve aggiungere il fatto che, ad esempio, nella Chiesa anglicana il diritto canonico non è mai stato formalmente abolito continuando a costituire il nucleo del diritto sostanziale integrato dalle sentenze dei tribunali ecclesiastici: soprattutto in Inghilterra si sarebbe manifestato il massimo grado di continuità tra legislazione e pratica giudiziaria canonica medievale e legislazione e pratica canonica post-riforma. Si spiega, quindi, indipendentemente dalle espressioni non propriamente eleganti utilizzate dal giurista di San Ginesio (il che fa parte della sua espressione stilistica, talvolta piuttosto forte e perentoria), la necessità che la legislazione canonica debba essere fatta oggetto di studio. Da giurista Alberico si accinge, quindi, ad illustrare quel Corpus normativo, tralasciando la sua appartenenza religiosa che, pur non essendo ascrivibile con precisione, ad alcuna delle Chiese riformate, era certamente avversa alla Chiesa di Roma: una impostazione – e questo è il fatto più rilevante – dalla quale deriva il riconoscimento di ordinamento giuridico della legislazione canonica.
2007
Minnucci, G. (2007). Alberico Gentili: un protestante alle prese con il Corpus Iuris Canonici. IUS ECCLESIAE, 19(2), 347-368.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11365/6530