Negli ultimi vent’anni una delle parole più comuni nel settore delle metodologie archeologiche (in senso lato) può essere identificata nel termine “integrazione”. Un ruolo determinate è stato svolto dalla progressiva affermazione dei sistemi informativi territoriali e dalla consapevolezza degli archeologici di poter far dialogare, tramite quello straordinario linguaggio trasversale costituito dai sistemi di coordinate geografiche, livelli informativi tematici fino ad allora sostanzialmente distinti. Anche nell’ambito delle prospezioni archeologiche, sia da parte di ingegneri e geofisici, sia dagli archeologi, il concetto di integrazione ha nettamente prevalso accanto al progressivo sviluppo e affinamento delle singole tecniche. Nelle numerose pubblicazioni spesso si esalta genericamente il contributo alla ricerca archeologica dell’integrazione tra fonti o tecniche di prospezione mentre solo raramente si da una spiegazione archeologica della questione. Per meglio comprendere lo sviluppo, e in alcuni casi le pericolose derive del fenomeno, riteniamo utile fare alcune riflessioni prima di entrare nel merito del nostro intervento. Credo che un buon punto di partenza su cui tutti concordano sia la mancanza ad oggi di una sorta di “sfera di cristallo” ovvero una metodologia o tecnica capace di vedere ogni tipologia di artefatto o ecofatto sepolti nel terreno. Non diversamente dalla diagnostica medica la prospezione archeologica ha elaborato una serie di metodi specifici per l’individuazione selettiva di alcune caratteristiche di oggetti o fenomeni, quindi, ogni metodo può essere assimilato ad un setaccio capace di filtrare solo gli elementi aventi dimensioni superiori a quelle della maglia, perdendo il resto. Integrazione significa disporre più setacci uno sopra l'altro, in modo da suddividere e trattenere differenti granulometrie. La granulometria quindi come metafora della sintesi delle caratteristiche fisiografiche del contesto, delle domande storico-archeologiche, della cultura materiale. Va ricordato che ad ogni setaccio corrisponde un momento interpretativo e che l’interpretazione integrata, successiva alla prima, costituisce il momento di sintesi delle diverse interpretazioni. Il concetto di integrazione non è fine a se stesso nel senso che integrare metodi per dimostrare l’incremento generale della mole di informazioni raccolte rappresenta ormai un dato acquisito, poco più di un esercizio di stile. L’ampia conoscenza dei metodi e degli strumenti disponibili, lo slancio costante verso la sperimentazione di nuovi sistemi funziona solo se governato da strategie saldamente ancorate alla formulazione di ipotesi storiografiche e alla ricerca di soluzioni a problemi archeologici. La relazione logica indispensabile è costituita dalla coerenza scientifica tra domanda archeologica e strategia implementata per ottenere la risposta. Solo attraverso questo delicato sistema a retroazione, dove i risultati del sistema vanno ad amplificare il funzionamento del sistema stesso, possiamo attenderci risultati rappresentativi, quantomeno di ciò che è sopravvissuto, capaci di contribuire allo sviluppo della narrazione critica. Quando questo meccanismo non si realizza, abbiamo una afasia tra risultato e interrogazione delle fonti che se non si affronta con la massima criticità rischia di provocare gravi distorsioni che si stratificano nel tempo influenzando significativamente lo sviluppo di modelli storiografici e le scelte per la conservazione del patrimonio culturale.

Campana, S. (2011). Geofisica estensiva e continua. Verso un nuovo livello analitico per l’archeologia?. ARCHEOLOGIA AEREA, 4/5, 239-249.

Geofisica estensiva e continua. Verso un nuovo livello analitico per l’archeologia?

CAMPANA, STEFANO
2011-01-01

Abstract

Negli ultimi vent’anni una delle parole più comuni nel settore delle metodologie archeologiche (in senso lato) può essere identificata nel termine “integrazione”. Un ruolo determinate è stato svolto dalla progressiva affermazione dei sistemi informativi territoriali e dalla consapevolezza degli archeologici di poter far dialogare, tramite quello straordinario linguaggio trasversale costituito dai sistemi di coordinate geografiche, livelli informativi tematici fino ad allora sostanzialmente distinti. Anche nell’ambito delle prospezioni archeologiche, sia da parte di ingegneri e geofisici, sia dagli archeologi, il concetto di integrazione ha nettamente prevalso accanto al progressivo sviluppo e affinamento delle singole tecniche. Nelle numerose pubblicazioni spesso si esalta genericamente il contributo alla ricerca archeologica dell’integrazione tra fonti o tecniche di prospezione mentre solo raramente si da una spiegazione archeologica della questione. Per meglio comprendere lo sviluppo, e in alcuni casi le pericolose derive del fenomeno, riteniamo utile fare alcune riflessioni prima di entrare nel merito del nostro intervento. Credo che un buon punto di partenza su cui tutti concordano sia la mancanza ad oggi di una sorta di “sfera di cristallo” ovvero una metodologia o tecnica capace di vedere ogni tipologia di artefatto o ecofatto sepolti nel terreno. Non diversamente dalla diagnostica medica la prospezione archeologica ha elaborato una serie di metodi specifici per l’individuazione selettiva di alcune caratteristiche di oggetti o fenomeni, quindi, ogni metodo può essere assimilato ad un setaccio capace di filtrare solo gli elementi aventi dimensioni superiori a quelle della maglia, perdendo il resto. Integrazione significa disporre più setacci uno sopra l'altro, in modo da suddividere e trattenere differenti granulometrie. La granulometria quindi come metafora della sintesi delle caratteristiche fisiografiche del contesto, delle domande storico-archeologiche, della cultura materiale. Va ricordato che ad ogni setaccio corrisponde un momento interpretativo e che l’interpretazione integrata, successiva alla prima, costituisce il momento di sintesi delle diverse interpretazioni. Il concetto di integrazione non è fine a se stesso nel senso che integrare metodi per dimostrare l’incremento generale della mole di informazioni raccolte rappresenta ormai un dato acquisito, poco più di un esercizio di stile. L’ampia conoscenza dei metodi e degli strumenti disponibili, lo slancio costante verso la sperimentazione di nuovi sistemi funziona solo se governato da strategie saldamente ancorate alla formulazione di ipotesi storiografiche e alla ricerca di soluzioni a problemi archeologici. La relazione logica indispensabile è costituita dalla coerenza scientifica tra domanda archeologica e strategia implementata per ottenere la risposta. Solo attraverso questo delicato sistema a retroazione, dove i risultati del sistema vanno ad amplificare il funzionamento del sistema stesso, possiamo attenderci risultati rappresentativi, quantomeno di ciò che è sopravvissuto, capaci di contribuire allo sviluppo della narrazione critica. Quando questo meccanismo non si realizza, abbiamo una afasia tra risultato e interrogazione delle fonti che se non si affronta con la massima criticità rischia di provocare gravi distorsioni che si stratificano nel tempo influenzando significativamente lo sviluppo di modelli storiografici e le scelte per la conservazione del patrimonio culturale.
2011
Campana, S. (2011). Geofisica estensiva e continua. Verso un nuovo livello analitico per l’archeologia?. ARCHEOLOGIA AEREA, 4/5, 239-249.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11365/43312
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