Il saggio affronta il tema del servizio domestico come aspetto del grande tema della cittadinanza negata. I domestici sono visti come i grandi esclusi dal circuito di cittadinanza borghese che si instaura con il codice napoleonico. Troppo forte è la dipendenza del domestico per ricondurre il lavorare- a- servizio nell’alveo del lavoro dipendente. I domestici perdono insomma il treno della modernizzazione giuridica lungo il percorso che dalla locazione d’opera arriva al contratto di lavoro. Alla fine, il servizio domestico diventa sempre più marginale nella famiglia nucleare - ristretta nei numeri, nelle funzioni e persino negli spazi fisici - mentre i domestici sono attratti dal lavoro industriale, che in Italia diventa il canale predominante soltanto negli anni Sessanta. Dal miracolo economico agli anni Novanta, sopravvive un servizio domestico inteso come un prodotto lavorativo in grado di far tornare i conti ( e soprattutto i tempi) in tessuti familiari sempre più individualizzati. L’inaspettata resurrezione del fenomeno avviene negli ultimi decenni con l’imponente fenomeno del lavoro di cura affidato a lavoratrici straniere. Ecco così riapparire figure lavorative all’interno della famiglia tanto eguali e tanto diverse da quelle di una volta. La continuità è rappresentata da un rapporto che per la natura dei contraenti e delle prestazioni mal sopporta di essere ingabbiato in griglie legali, mantenendo una densa giuridicità sospesa tra sottosuolo fattuale e superficie giuridica. Questo ‘sottosuolo’ è osservato attraverso gli umori della dottrina, ma anche attraverso le fonti letterarie e persino mediante gli spunti offerti della cultura popolare. La discontinuità è data naturalmente dalla profonda trasformazione strutturale e funzionale della famiglia e dal profilo esistenziale delle neo-domestiche straniere.

Passaniti, P. (2008). La cittadinanza sommersa. Il lavoro domestico tra Otto e Novecento. QUADERNI FIORENTINI PER LA STORIA DEL PENSIERO GIURIDICO MODERNO, 37, 233-257.

La cittadinanza sommersa. Il lavoro domestico tra Otto e Novecento

PASSANITI, PAOLO
2008-01-01

Abstract

Il saggio affronta il tema del servizio domestico come aspetto del grande tema della cittadinanza negata. I domestici sono visti come i grandi esclusi dal circuito di cittadinanza borghese che si instaura con il codice napoleonico. Troppo forte è la dipendenza del domestico per ricondurre il lavorare- a- servizio nell’alveo del lavoro dipendente. I domestici perdono insomma il treno della modernizzazione giuridica lungo il percorso che dalla locazione d’opera arriva al contratto di lavoro. Alla fine, il servizio domestico diventa sempre più marginale nella famiglia nucleare - ristretta nei numeri, nelle funzioni e persino negli spazi fisici - mentre i domestici sono attratti dal lavoro industriale, che in Italia diventa il canale predominante soltanto negli anni Sessanta. Dal miracolo economico agli anni Novanta, sopravvive un servizio domestico inteso come un prodotto lavorativo in grado di far tornare i conti ( e soprattutto i tempi) in tessuti familiari sempre più individualizzati. L’inaspettata resurrezione del fenomeno avviene negli ultimi decenni con l’imponente fenomeno del lavoro di cura affidato a lavoratrici straniere. Ecco così riapparire figure lavorative all’interno della famiglia tanto eguali e tanto diverse da quelle di una volta. La continuità è rappresentata da un rapporto che per la natura dei contraenti e delle prestazioni mal sopporta di essere ingabbiato in griglie legali, mantenendo una densa giuridicità sospesa tra sottosuolo fattuale e superficie giuridica. Questo ‘sottosuolo’ è osservato attraverso gli umori della dottrina, ma anche attraverso le fonti letterarie e persino mediante gli spunti offerti della cultura popolare. La discontinuità è data naturalmente dalla profonda trasformazione strutturale e funzionale della famiglia e dal profilo esistenziale delle neo-domestiche straniere.
2008
Passaniti, P. (2008). La cittadinanza sommersa. Il lavoro domestico tra Otto e Novecento. QUADERNI FIORENTINI PER LA STORIA DEL PENSIERO GIURIDICO MODERNO, 37, 233-257.
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