L'articolo si focalizza su quella parte di popolazione, per ora minoritaria, che sta scoprendo il valore emergente della qualità della vita. Si tratta di una minoranza culturale in larga misura caratterizzata da nuovi valori e stili di vita e da una visione olistica della realtà, che l'articolo richiama e illustra, seppur brevemente, per poi concentrarsi sul ruolo che svolgono le relazioni interpersonali e le abilità comunicative nel determinare la qualità della vita del singolo e della collettività. Da qualche decennio a questa parte stiamo comprendendo che la salute e il benessere non sono solo assenza di malattia ma qualcosa di molto più complesso: vivere con ritmi che rispettano i nostri limiti; abitare in un ambiente sano e accogliente; svolgere un lavoro che ci realizza e gratifica; è nutrire il corpo e la mente di cibi sani; avere buone relazioni con le persone con cui siamo in contatto, nella vita privata come in quella lavorativa; stare bene con se stessi, stimarsi, amarsi, rispettare i propri bisogni, coltivare i propri interessi, sviluppare i propri talenti. Insomma, stare bene significa essere in armonia con se stessi e con l’ambiente esterno. Si tratta, come si vede, di una accezione ben più ampia di quella tradizionale che guarda soltanto al benessere materiale e al buon funzionamento del corpo, ma soprattutto si tratta di una accezione qualitativamente diversa, in quanto non è basata sulle quantità (possesso di beni - assenza di malattie) ma sulle relazioni che sussistono: a) tra l’essere umano e se stess; b) tra l’essere umano e l’ambiente esterno in cui vive; c) tra l’essere umano e i suoi simili. L’articolo approfondisce quest’ultimo aspetto evidenziando come le relazioni interpersonali influenzino la formazione e la continua trasformazione della nostra identità e individualità; determinino il grado di soddisfazione o insoddisfazione nella nostra vita privata: negli affetti, nelle amicizie, in famiglia; si riflettano sulla gratificazione o frustrazione che riceviamo sul lavoro; influenzino il nostro benessere psicofisico e possano favorire l’insorgere di vere e proprie patologie psicosociali, psicoemotive, e perfino psicosomatiche – insomma come siano alla base di tutte le principali sfere del nostro vivere sociale. Ciò nonostante sia i singoli che le istituzioni dedicano a queste problematiche ben scarse attenzioni e risorse e i risultati negativi di questa disattenzione non mancano purtroppo di manifestarsi. Ne sono chiari esempi i molti anziani che soffrono di solitudine e gli altrettanto numerosi bambini costretti a giocare da soli e a rapportarsi solo con la TV e i videogiochi; la freddezza e l’impersonalità – quando non la sospettosità e acidità – delle relazioni sul posto di lavoro, spesso caratterizzate da conflitti latenti coi colleghi, da invidie e gelosie, da rapporti di pura facciata o addirittura da dinamiche di mobbing; i problemi del bullismo e del nonnismo nelle scuole e nelle caserme; i difficili rapporti tra genitori e figli e tra parenti e via dicendo. Parimenti, la percentuale sempre più alta di separazioni e divorzi, e soprattutto la conflittualità che li caratterizza, testimoniano la bassa qualità della comunicazione perfino nelle relazioni di coppia e l'incapacità di affrontare costruttivamente e pacificamente le molteplici e spesso nascoste diversità esistenti tra i partner. Il cuore del problema è che nessuno ci ha mai insegnato a comunicare, ad impostare in modi sani e costruttivi i nostri rapporti con gli altri, a gestire efficacemente le nostre emozioni, ad esprimere appropriatamente i sentimenti. La nostra civiltà viene definita “tecnologicamente avanzata” ma è poco più che primitiva sul piano comunicativo-emotivo-relazionale. E’ sempre stata primitiva, anzi in passato lo era anche di più, ma il problema non era così evidente e soprattutto così urgente, perché nella società patriarcale e autoritaria cha ha dominato la scena fino a qualche decennio fa, i rapporti sociali non venivano liberamente costituiti dalle parti, ma erano predefiniti da norme e gerarchie rigide imposte dall’alto. La vita di relazione si svolgeva secondo regole e schemi semplici e rigidi, cui dovevano conformarsi tutti gli appartenenti ad una data comunità. Oggi invece si è passati da rapporti impostati su copioni socialmente prestabiliti e rigidi a relazioni autodeterminate e flessibili, dalla comunicazione formale alla spontaneità, dai tabù sessuali alla libertà, dal controllo e repressione delle emozioni all’espressività senza freni. Sebbene si tratti di un mutamento sostanzialmente positivo, la medaglia ha anche il suo rovescio poiché col crescere della libertà è cresciuto anche il disagio esistenziale; il senso di identità e i ruoli sociali e sessuali sono entrati in crisi; sono aumentati i conflitti, le separazioni, le controversie e la famiglia è in disfacimento, come pure la solidarietà e coesione sociale; crescono la solitudine e l’individualismo; il rapporto tra cittadini e istituzioni è sempre più improntato alla sfiducia e l’ordine ne risente sotto più aspetti. Per vivere correttamente i vantaggi potenziali di questa nuova e ampia libertà e gestire le nuove tensioni che essa comporta sono necessari nuovi adeguati strumenti di interazione sociale, assai più complessi di quelli dei nostri antenati, poiché un conto è seguire binari prestabiliti, uguali per tutti, altra cosa è orientarsi tra più strade possibili o addirittura in mare aperto; un conto è accontentarsi di sopravvivere, altra cosa è credere nelle proprie aspirazioni e quindi essere capace di scegliere, tra le molte possibilità, quella più adatta alla loro realizzazione. Avere buone relazioni non è questione di fortuna, ma dipende dalla capacità di comunicare con consapevolezza, di affrontare i conflitti in modi pacifici e costruttivi, di gestire efficacemente le proprie emozioni e di esprimere appropriatamente i sentimenti. Occorre pertanto imparare a comunicare con gli altri e anche con se stessi, a gestire i conflitti esteriori e anche quelli interiori poiché, queste dimensioni sono strettamente interdipendenti. Tali strumenti già esistono, ma non sono alla portata di tutti, anzi, quasi di nessuno. Sono strumenti nuovi, perché, come si è detto, è solo da poco che la comunicazione ha acquisito una adeguata centralità sociale. Ne consegue che l’educazione comunicativo-emotivo-relazionale dei bambini e degli adulti – come pure l’istituzione di una adeguata rete di servizi di aiuto psicosociale quali il counseling relazionale e la mediazione familiare - dovranno essere tra le priorità dei prossimi anni se si vuole perseguire una politica sociale imperniata sulla qualità della vita e sulla prevenzione del disagio psico-sociale, della microconflittualità urbana e familiare, del mobbing e di tutte le altre patologie sistemiche che affliggono la nostra vita sociale. I conflitti scaturiscono dalle diversità e sono per certi versi inevitabili; si può però evitare che essi degenerino e divengano distruttivi – si può anzi trasformarli in occasioni di crescita, talvolta addirittura di collaborazione. La comunicazione svolge in tal senso un ruolo insostituibile, in quanto fa emergere punti di contatto, somiglianze e complementarità tra le diverse persone, culture e religioni: finché si rimane a livello superficiale, appaiono più evidenti le differenze e gli antagonismi, ma se si va in profondità ci si accorge, man mano che ci si avvicina al nucleo, che vi sono somiglianze e vere e proprie identità tra una cultura e l’altra, tra una religione e l’altra, tra noi e gli altri, e dallo scontro si passa al confronto e poi alla collaborazione, o quanto meno alla reciproca tolleranza.
Cheli, E. (2004). Risveglio emotivo-affettivo e qualità delle relazioni. RELIGIONI E SOCIETÀ(50), 24-30.
Risveglio emotivo-affettivo e qualità delle relazioni
CHELI, ENRICO
2004-01-01
Abstract
L'articolo si focalizza su quella parte di popolazione, per ora minoritaria, che sta scoprendo il valore emergente della qualità della vita. Si tratta di una minoranza culturale in larga misura caratterizzata da nuovi valori e stili di vita e da una visione olistica della realtà, che l'articolo richiama e illustra, seppur brevemente, per poi concentrarsi sul ruolo che svolgono le relazioni interpersonali e le abilità comunicative nel determinare la qualità della vita del singolo e della collettività. Da qualche decennio a questa parte stiamo comprendendo che la salute e il benessere non sono solo assenza di malattia ma qualcosa di molto più complesso: vivere con ritmi che rispettano i nostri limiti; abitare in un ambiente sano e accogliente; svolgere un lavoro che ci realizza e gratifica; è nutrire il corpo e la mente di cibi sani; avere buone relazioni con le persone con cui siamo in contatto, nella vita privata come in quella lavorativa; stare bene con se stessi, stimarsi, amarsi, rispettare i propri bisogni, coltivare i propri interessi, sviluppare i propri talenti. Insomma, stare bene significa essere in armonia con se stessi e con l’ambiente esterno. Si tratta, come si vede, di una accezione ben più ampia di quella tradizionale che guarda soltanto al benessere materiale e al buon funzionamento del corpo, ma soprattutto si tratta di una accezione qualitativamente diversa, in quanto non è basata sulle quantità (possesso di beni - assenza di malattie) ma sulle relazioni che sussistono: a) tra l’essere umano e se stess; b) tra l’essere umano e l’ambiente esterno in cui vive; c) tra l’essere umano e i suoi simili. L’articolo approfondisce quest’ultimo aspetto evidenziando come le relazioni interpersonali influenzino la formazione e la continua trasformazione della nostra identità e individualità; determinino il grado di soddisfazione o insoddisfazione nella nostra vita privata: negli affetti, nelle amicizie, in famiglia; si riflettano sulla gratificazione o frustrazione che riceviamo sul lavoro; influenzino il nostro benessere psicofisico e possano favorire l’insorgere di vere e proprie patologie psicosociali, psicoemotive, e perfino psicosomatiche – insomma come siano alla base di tutte le principali sfere del nostro vivere sociale. Ciò nonostante sia i singoli che le istituzioni dedicano a queste problematiche ben scarse attenzioni e risorse e i risultati negativi di questa disattenzione non mancano purtroppo di manifestarsi. Ne sono chiari esempi i molti anziani che soffrono di solitudine e gli altrettanto numerosi bambini costretti a giocare da soli e a rapportarsi solo con la TV e i videogiochi; la freddezza e l’impersonalità – quando non la sospettosità e acidità – delle relazioni sul posto di lavoro, spesso caratterizzate da conflitti latenti coi colleghi, da invidie e gelosie, da rapporti di pura facciata o addirittura da dinamiche di mobbing; i problemi del bullismo e del nonnismo nelle scuole e nelle caserme; i difficili rapporti tra genitori e figli e tra parenti e via dicendo. Parimenti, la percentuale sempre più alta di separazioni e divorzi, e soprattutto la conflittualità che li caratterizza, testimoniano la bassa qualità della comunicazione perfino nelle relazioni di coppia e l'incapacità di affrontare costruttivamente e pacificamente le molteplici e spesso nascoste diversità esistenti tra i partner. Il cuore del problema è che nessuno ci ha mai insegnato a comunicare, ad impostare in modi sani e costruttivi i nostri rapporti con gli altri, a gestire efficacemente le nostre emozioni, ad esprimere appropriatamente i sentimenti. La nostra civiltà viene definita “tecnologicamente avanzata” ma è poco più che primitiva sul piano comunicativo-emotivo-relazionale. E’ sempre stata primitiva, anzi in passato lo era anche di più, ma il problema non era così evidente e soprattutto così urgente, perché nella società patriarcale e autoritaria cha ha dominato la scena fino a qualche decennio fa, i rapporti sociali non venivano liberamente costituiti dalle parti, ma erano predefiniti da norme e gerarchie rigide imposte dall’alto. La vita di relazione si svolgeva secondo regole e schemi semplici e rigidi, cui dovevano conformarsi tutti gli appartenenti ad una data comunità. Oggi invece si è passati da rapporti impostati su copioni socialmente prestabiliti e rigidi a relazioni autodeterminate e flessibili, dalla comunicazione formale alla spontaneità, dai tabù sessuali alla libertà, dal controllo e repressione delle emozioni all’espressività senza freni. Sebbene si tratti di un mutamento sostanzialmente positivo, la medaglia ha anche il suo rovescio poiché col crescere della libertà è cresciuto anche il disagio esistenziale; il senso di identità e i ruoli sociali e sessuali sono entrati in crisi; sono aumentati i conflitti, le separazioni, le controversie e la famiglia è in disfacimento, come pure la solidarietà e coesione sociale; crescono la solitudine e l’individualismo; il rapporto tra cittadini e istituzioni è sempre più improntato alla sfiducia e l’ordine ne risente sotto più aspetti. Per vivere correttamente i vantaggi potenziali di questa nuova e ampia libertà e gestire le nuove tensioni che essa comporta sono necessari nuovi adeguati strumenti di interazione sociale, assai più complessi di quelli dei nostri antenati, poiché un conto è seguire binari prestabiliti, uguali per tutti, altra cosa è orientarsi tra più strade possibili o addirittura in mare aperto; un conto è accontentarsi di sopravvivere, altra cosa è credere nelle proprie aspirazioni e quindi essere capace di scegliere, tra le molte possibilità, quella più adatta alla loro realizzazione. Avere buone relazioni non è questione di fortuna, ma dipende dalla capacità di comunicare con consapevolezza, di affrontare i conflitti in modi pacifici e costruttivi, di gestire efficacemente le proprie emozioni e di esprimere appropriatamente i sentimenti. Occorre pertanto imparare a comunicare con gli altri e anche con se stessi, a gestire i conflitti esteriori e anche quelli interiori poiché, queste dimensioni sono strettamente interdipendenti. Tali strumenti già esistono, ma non sono alla portata di tutti, anzi, quasi di nessuno. Sono strumenti nuovi, perché, come si è detto, è solo da poco che la comunicazione ha acquisito una adeguata centralità sociale. Ne consegue che l’educazione comunicativo-emotivo-relazionale dei bambini e degli adulti – come pure l’istituzione di una adeguata rete di servizi di aiuto psicosociale quali il counseling relazionale e la mediazione familiare - dovranno essere tra le priorità dei prossimi anni se si vuole perseguire una politica sociale imperniata sulla qualità della vita e sulla prevenzione del disagio psico-sociale, della microconflittualità urbana e familiare, del mobbing e di tutte le altre patologie sistemiche che affliggono la nostra vita sociale. I conflitti scaturiscono dalle diversità e sono per certi versi inevitabili; si può però evitare che essi degenerino e divengano distruttivi – si può anzi trasformarli in occasioni di crescita, talvolta addirittura di collaborazione. La comunicazione svolge in tal senso un ruolo insostituibile, in quanto fa emergere punti di contatto, somiglianze e complementarità tra le diverse persone, culture e religioni: finché si rimane a livello superficiale, appaiono più evidenti le differenze e gli antagonismi, ma se si va in profondità ci si accorge, man mano che ci si avvicina al nucleo, che vi sono somiglianze e vere e proprie identità tra una cultura e l’altra, tra una religione e l’altra, tra noi e gli altri, e dallo scontro si passa al confronto e poi alla collaborazione, o quanto meno alla reciproca tolleranza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/11365/27613
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