L’articolo esamina i Bill of Rights contenuti nelle Costituzioni dei paesi dell’Asia orientale, giungendo a verificare la presenza di una serie di elementi comuni, che ci consentono di parlare di una specificità asiatica, che ha ben poco a che vedere con i “valori asiatici”. Non è dato rinvenire nei testi costituzionali una concezione dei diritti alternativa a quella del costituzionalismo liberale, finalizzata ad affermare principi ed istituti espressione di una diversa tradizione culturale . Al contrario, si è di fronte a Costituzioni che fanno propri diritti e libertà di origine occidentale, affermatisi in diverse fasi del costituzionalismo e che, in relazione all’epoca storica nella quale sono state adottate o revisionate, presentano molte delle caratteristiche del ciclo costituzionale cui appartengono. Ciò è particolarmente evidente, oltre che per la Costituzione del Giappone, per quelle approvate alla fine del XX secolo. Le Costituzioni di Tailandia, Filippine, Cambogia, Corea del sud e, dopo le più recenti revisioni, anche dell’Indonesia, hanno cataloghi dei diritti lunghi e dettagliati, sono ricche di norme programmatiche e di proclamazioni di principio, echeggiando in ciò quelle africane, sudamericane, dell’Europa centro-orientale . Né mancano le influenze derivanti sia dai documenti internazionali in materia di diritti umani, sia dalla circolazione dei modelli, testimoniate da formule come la “ricerca della felicità” o il “contenuto essenziale” dei diritti. Né la presenza di diritti collettivi o lo spazio dedicato ai doveri, pur ampio, sembrano tali da distinguere questi testi da quelli rinvenibili in altre parti del mondo. Quello che accomuna tutte le Costituzioni esaminate, e tra queste anche quelle della “terza ondata”, è la debolezza della tutela assicurata ai diritti della persona. In ciò esse si allontanano dal costituzionalismo liberale, non solo nella sua versione occidentale, ma anche come recepito in aree diverse da quelle dove si è sviluppato, ad esempio l’Africa, nelle quali problema è se mai quello della effettività dei diritti astrattamente previsti dalle Carte costituzionali, in conseguenza del sottosviluppo economico, dell’instabilità politica, dell’insicurezza sociale, dei conflitti etnici. Le radici di tale debolezza si rintracciano in Asia negli stessi testi costituzionali e trovano espressione principalmente in due tipi di disposizioni. Innanzitutto la presenza di clausole che rimettono al legislatore, ovvero alle maggioranze politiche, la limitazione dei diritti, sottraendo tali decisioni al controllo giurisdizionale. Tanto che si tratti di riserve di legge semplici che rinforzate, di clausole di limitazione generali o specifiche, il risultato non cambia: il contenuto dei diritti fondamentali, inseriti in una Costituzione rigida, è privato di significato attraverso questo tipo di previsioni . Inoltre, deboli sono gli strumenti di garanzia posti a tutela del catalogo dei diritti, sia nella forma delle garanzie istituzionali che giurisdizionali. La revisione delle norme costituzionali sui diritti, per la quale non sono previste procedure ulteriormente rafforzate né clausole di non modificabilità; l’inesistenza di garanzie dei diritti nelle situazioni di emergenza e, al contrario, la previsione di ipotesi di sospensione; la chiusura al diritto internazionale dei diritti umani; la mancanza di strumenti che rendano effettivi i diritti sociali; la presenza di Corti costituzionali che operano più come arbitri dei rapporti tra i poteri che come garanti dei diritti; la scarsa indipendenza del potere giudiziario da quello politico; la mancata previsione dell’ombudsman o di commissioni di tutela dei diritti umani. Tutti questi elementi ci mostrano una concezione della Costituzione assai distante da quella sviluppatasi, dalla fine del XVIII secolo, in Europa e in America del nord, come strumento di garanzia dei diritti attraverso la limitazione del potere. Le Costituzioni dei paesi dell’Asia orientale, anche se non possono esimersi dal contenere un catalogo di diritti, ormai indispensabile sia di fronte alla comunità internazionale che per motivi di legittimazione interna del potere, mostrano però di non accettare fino in fondo tale dottrina. I diritti umani, lungi dall’essere configurati come antecedenti allo Stato e come limiti al suo potere, sono ricostruiti invece in termini di derivazione dallo Stato medesimo; non a caso, dal punto di vista dei cittadini, essi si configurano, in alcuni casi, come doveri. In questa impostazione complessiva, e non nella diretta codificazione dei “valori asiatici”, esse lasciano trasparire una concezione alternativa dei rapporti tra individuo, comunità, Stato, che però non è esplicitata nel testo della Costituzione: quasi a riprova dell’affermazione secondo la quale ciò che è davvero fondamentale non è mai posto, ma deve necessariamente essere presupposto. Si può parlare di Costituzioni senza costituzionalismo: di testi, cioè, dettati con finalità distinte da quelle che connotano il costituzionalismo occidentale. Si tratta di finalità diverse nei vari paesi e nei differenti momenti storici, ricostruibili caso per caso con l’ausilio delle storia costituzionale; comunque estranee, almeno fino ad oggi, alla tutela dei diritti .

Groppi, T. (2006). Costituzioni senza costituzionalismo. La codificazione dei diritti in Asia agli inizi del XXI secolo. POLITICA DEL DIRITTO, 2, 187-221.

Costituzioni senza costituzionalismo. La codificazione dei diritti in Asia agli inizi del XXI secolo

GROPPI, TANIA
2006-01-01

Abstract

L’articolo esamina i Bill of Rights contenuti nelle Costituzioni dei paesi dell’Asia orientale, giungendo a verificare la presenza di una serie di elementi comuni, che ci consentono di parlare di una specificità asiatica, che ha ben poco a che vedere con i “valori asiatici”. Non è dato rinvenire nei testi costituzionali una concezione dei diritti alternativa a quella del costituzionalismo liberale, finalizzata ad affermare principi ed istituti espressione di una diversa tradizione culturale . Al contrario, si è di fronte a Costituzioni che fanno propri diritti e libertà di origine occidentale, affermatisi in diverse fasi del costituzionalismo e che, in relazione all’epoca storica nella quale sono state adottate o revisionate, presentano molte delle caratteristiche del ciclo costituzionale cui appartengono. Ciò è particolarmente evidente, oltre che per la Costituzione del Giappone, per quelle approvate alla fine del XX secolo. Le Costituzioni di Tailandia, Filippine, Cambogia, Corea del sud e, dopo le più recenti revisioni, anche dell’Indonesia, hanno cataloghi dei diritti lunghi e dettagliati, sono ricche di norme programmatiche e di proclamazioni di principio, echeggiando in ciò quelle africane, sudamericane, dell’Europa centro-orientale . Né mancano le influenze derivanti sia dai documenti internazionali in materia di diritti umani, sia dalla circolazione dei modelli, testimoniate da formule come la “ricerca della felicità” o il “contenuto essenziale” dei diritti. Né la presenza di diritti collettivi o lo spazio dedicato ai doveri, pur ampio, sembrano tali da distinguere questi testi da quelli rinvenibili in altre parti del mondo. Quello che accomuna tutte le Costituzioni esaminate, e tra queste anche quelle della “terza ondata”, è la debolezza della tutela assicurata ai diritti della persona. In ciò esse si allontanano dal costituzionalismo liberale, non solo nella sua versione occidentale, ma anche come recepito in aree diverse da quelle dove si è sviluppato, ad esempio l’Africa, nelle quali problema è se mai quello della effettività dei diritti astrattamente previsti dalle Carte costituzionali, in conseguenza del sottosviluppo economico, dell’instabilità politica, dell’insicurezza sociale, dei conflitti etnici. Le radici di tale debolezza si rintracciano in Asia negli stessi testi costituzionali e trovano espressione principalmente in due tipi di disposizioni. Innanzitutto la presenza di clausole che rimettono al legislatore, ovvero alle maggioranze politiche, la limitazione dei diritti, sottraendo tali decisioni al controllo giurisdizionale. Tanto che si tratti di riserve di legge semplici che rinforzate, di clausole di limitazione generali o specifiche, il risultato non cambia: il contenuto dei diritti fondamentali, inseriti in una Costituzione rigida, è privato di significato attraverso questo tipo di previsioni . Inoltre, deboli sono gli strumenti di garanzia posti a tutela del catalogo dei diritti, sia nella forma delle garanzie istituzionali che giurisdizionali. La revisione delle norme costituzionali sui diritti, per la quale non sono previste procedure ulteriormente rafforzate né clausole di non modificabilità; l’inesistenza di garanzie dei diritti nelle situazioni di emergenza e, al contrario, la previsione di ipotesi di sospensione; la chiusura al diritto internazionale dei diritti umani; la mancanza di strumenti che rendano effettivi i diritti sociali; la presenza di Corti costituzionali che operano più come arbitri dei rapporti tra i poteri che come garanti dei diritti; la scarsa indipendenza del potere giudiziario da quello politico; la mancata previsione dell’ombudsman o di commissioni di tutela dei diritti umani. Tutti questi elementi ci mostrano una concezione della Costituzione assai distante da quella sviluppatasi, dalla fine del XVIII secolo, in Europa e in America del nord, come strumento di garanzia dei diritti attraverso la limitazione del potere. Le Costituzioni dei paesi dell’Asia orientale, anche se non possono esimersi dal contenere un catalogo di diritti, ormai indispensabile sia di fronte alla comunità internazionale che per motivi di legittimazione interna del potere, mostrano però di non accettare fino in fondo tale dottrina. I diritti umani, lungi dall’essere configurati come antecedenti allo Stato e come limiti al suo potere, sono ricostruiti invece in termini di derivazione dallo Stato medesimo; non a caso, dal punto di vista dei cittadini, essi si configurano, in alcuni casi, come doveri. In questa impostazione complessiva, e non nella diretta codificazione dei “valori asiatici”, esse lasciano trasparire una concezione alternativa dei rapporti tra individuo, comunità, Stato, che però non è esplicitata nel testo della Costituzione: quasi a riprova dell’affermazione secondo la quale ciò che è davvero fondamentale non è mai posto, ma deve necessariamente essere presupposto. Si può parlare di Costituzioni senza costituzionalismo: di testi, cioè, dettati con finalità distinte da quelle che connotano il costituzionalismo occidentale. Si tratta di finalità diverse nei vari paesi e nei differenti momenti storici, ricostruibili caso per caso con l’ausilio delle storia costituzionale; comunque estranee, almeno fino ad oggi, alla tutela dei diritti .
2006
Groppi, T. (2006). Costituzioni senza costituzionalismo. La codificazione dei diritti in Asia agli inizi del XXI secolo. POLITICA DEL DIRITTO, 2, 187-221.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11365/17903
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