Nel presente contributo si analizzano le peculiarità più distintive del principio di laicità in Turchia fino all’attuale governo dell’ AKP (Adalet ve Kalkinma Partisi), per poi verificarne l’impatto sulla garanzia dell’accesso alla giustizia individuale in sede processuale penale. E’ necessario tener presente, prima di tutto, un processo di laicizzazione che, nel solco di una vera e propria riforma culturale, estese l’obbligo di neutralità non soltanto alla Repubblica, nella sua componente strutturale ed organica, ma alla sua intera compagine sociale. Il laicismo giurisdizionale di Mustafa Kemal Atatürk, allora, trovò ispirazione, non soltanto nella rigida laïcité francese, sprezzante verso qualsiasi manifestazione religiosa all’interno della dimensione pubblica, ma anche in quell’ethos nazionalista, sul quale giustificò il totale controllo delle istituzioni religiose e di tutti gli aspetti concernenti la vita della comunità musulmana. A questo proposito, il noto articolo 163 del Codice penale del 1926, fu particolarmente repressivo verso tutte quelle forme di manifestazione del pensiero contrarie all’esclusione della religione dalla sfera pubblica. Se la potestà punitiva dello Stato venne esercitata, non soltanto contro qualsiasi presunta attività sovversiva del principio di laicità e dell’ordine costituito, ma anche laddove un individuo fosse chiamato a rispondere penalmente delle sue azioni, emblematica, allora, è la decisione n. 2012/1629 di una Family Court di Ankara (Ankara Aile Mahkemesi) di sospendere l’udienza in corso, vista l’impossibilità per uno degli avvocati delle parti in causa di parteciparvi ed assistere il proprio cliente indossando il velo islamico. Un ridimensionamento della clausola di laicità, sotto l’attuale governo dell’AKP, e del suo impatto sulle garanzie nel processo penale è stato comunque ravvisato alla luce di una più recente sentenza (n. 2014/2569) della Corte Costituzionale turca (Anayasa Mahkemesi) sul caso; infatti, i giudici di legittimità respinsero il ricorso dopo aver sottolineato, sia la divergenza tra la regolamentazione dell’outfit degli avvocati in aula e le relative fonti legislative primarie, sia l’impossibilità, per chiunque indossi il velo islamico, di arrecare nocumento alcuno ai diritti di terzi, vista la preponderante maggioranza sunnita in paese. In conclusione, il presente contributo offre alcune riflessioni sull’ attuale urgenza di una clausola di laicità in grado di valorizzare genuinamente il pluralismo religioso: l'AKP ha infatti rispolverato un modello di modernizzazione autoritaria, di stampo kemalista, questa volta votato al rafforzamento di un’identità nazionale che vede nell’Islam sunnita il fulcro del sistema di valori della compagine turca, indifferente delle domande religiose di chi sunnita non è.
Corsalini, M. (2017). La tutela del principio di laicità nel Codice penale turco del 1929 ed i più recenti sviluppi giurisprudenziali. DIRITTO PENALE CONTEMPORANEO, 7(8), 101-117.
La tutela del principio di laicità nel Codice penale turco del 1929 ed i più recenti sviluppi giurisprudenziali
Matteo Corsalini
2017-01-01
Abstract
Nel presente contributo si analizzano le peculiarità più distintive del principio di laicità in Turchia fino all’attuale governo dell’ AKP (Adalet ve Kalkinma Partisi), per poi verificarne l’impatto sulla garanzia dell’accesso alla giustizia individuale in sede processuale penale. E’ necessario tener presente, prima di tutto, un processo di laicizzazione che, nel solco di una vera e propria riforma culturale, estese l’obbligo di neutralità non soltanto alla Repubblica, nella sua componente strutturale ed organica, ma alla sua intera compagine sociale. Il laicismo giurisdizionale di Mustafa Kemal Atatürk, allora, trovò ispirazione, non soltanto nella rigida laïcité francese, sprezzante verso qualsiasi manifestazione religiosa all’interno della dimensione pubblica, ma anche in quell’ethos nazionalista, sul quale giustificò il totale controllo delle istituzioni religiose e di tutti gli aspetti concernenti la vita della comunità musulmana. A questo proposito, il noto articolo 163 del Codice penale del 1926, fu particolarmente repressivo verso tutte quelle forme di manifestazione del pensiero contrarie all’esclusione della religione dalla sfera pubblica. Se la potestà punitiva dello Stato venne esercitata, non soltanto contro qualsiasi presunta attività sovversiva del principio di laicità e dell’ordine costituito, ma anche laddove un individuo fosse chiamato a rispondere penalmente delle sue azioni, emblematica, allora, è la decisione n. 2012/1629 di una Family Court di Ankara (Ankara Aile Mahkemesi) di sospendere l’udienza in corso, vista l’impossibilità per uno degli avvocati delle parti in causa di parteciparvi ed assistere il proprio cliente indossando il velo islamico. Un ridimensionamento della clausola di laicità, sotto l’attuale governo dell’AKP, e del suo impatto sulle garanzie nel processo penale è stato comunque ravvisato alla luce di una più recente sentenza (n. 2014/2569) della Corte Costituzionale turca (Anayasa Mahkemesi) sul caso; infatti, i giudici di legittimità respinsero il ricorso dopo aver sottolineato, sia la divergenza tra la regolamentazione dell’outfit degli avvocati in aula e le relative fonti legislative primarie, sia l’impossibilità, per chiunque indossi il velo islamico, di arrecare nocumento alcuno ai diritti di terzi, vista la preponderante maggioranza sunnita in paese. In conclusione, il presente contributo offre alcune riflessioni sull’ attuale urgenza di una clausola di laicità in grado di valorizzare genuinamente il pluralismo religioso: l'AKP ha infatti rispolverato un modello di modernizzazione autoritaria, di stampo kemalista, questa volta votato al rafforzamento di un’identità nazionale che vede nell’Islam sunnita il fulcro del sistema di valori della compagine turca, indifferente delle domande religiose di chi sunnita non è.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/11365/1262254