Nel 1948, tornando per una visita da Roma a Genova, il poeta Giorgio Caproni si trovò a passare in Piazza Bandiera e a notare che, fra le persistenti macerie di un pesante bombardamento avvenuto nel 1942, sorgeva pressoché intatta una statua di Enea con il padre Anchise in spalla e il figlio Ascanio per mano. Fu per lui un incontro profondamente emozionante («ciò che di più commovente io abbia visto sulla terra»), perché in quell’eroe che, fuggito da Troia in fiamme, si era ritrovato in una delle piazze più bombardate d’Italia, Caproni scorse il simbolo dell’uomo della sua generazione, solo, dapprima in piena guerra, e poi di fronte al duplice compito di salvare una tradizione vecchia e logora (Anchise) e di promuovere un futuro ancora troppo fragile (il figlioletto Ascanio). Da questo incontro nacquero da un lato uno dei suoi più celebri poemetti, Il passaggio d’Enea, che dà il titolo anche alla sua raccolta uscita nel 1956, dall’altro una ricca serie di prose giornalistiche che insistentemente tornano a sottolineare il rilievo di quella figura per l’uomo moderno («Enea sono io, siamo tutti»). Continuando a seguire le tracce dell’Enea di Caproni (raccolte nel volume Giorgio Caproni, Il mio Enea, di Filomena Giannotti, pubblicato da Garzanti nel trentennale della morte del poeta, il 22 gennaio 2020), questo articolo nasce dalla scoperta, fra le carte del Fondo Caproni della Biblioteca Nazionale di Firenze, di un’intervista di Geno Pampaloni al grande poeta, risalente al 1962 e preparata in vista di una trasmissione televisiva oggi perduta. Se ai funzionari di Raiteche non ne risulta conservata nessuna registrazione, da una ricerca condotta su vecchi numeri del «Radiocorriere tv», la trasmissione sembra essere andata in onda mercoledì 2 maggio 1962, con la dicitura: «Incontri con i poeti. Giorgio Caproni. 22:30». Nelle risposte preparate per Pampaloni, Giorgio Caproni torna una volta di più sulla genesi del Passaggio d’Enea, ribadendo l’importanza cruciale del suo incontro con «un Enea fuggito da una guerra per approdare ad un’altra guerra, e ancora in cerca del luogo dove fondare la nuova città. [...] simbolo dell’uomo moderno, solo nella guerra, con sulle spalle un passato da salvare che crolla da tutte le parti, e per la mano un avvenire che anch’esso vuol essere sostenuto anziché sostenerlo». Ma, oltre a questo, il poeta ripercorre i momenti fondamentali della sua vita e della sua poesia: gli anni giovanili e la formazione nell’amata città di Genova (la sua famiglia vi si trasferì quando lui era ancora bambino); l’importanza della vocazione musicale – in una città che lui sentiva come particolarmente musicale –, concretizzatasi negli studi di violino e, una svolta svanito il suo «sogno paganiniano», nei versi non più «per musica», ma «come musica». Un discorso a parte merita la figura della madre, con la genesi e progressiva formazione dei Versi livornesi a lei dedicati, su cui verte la maggior parte dell’intervista. Tornando ai luoghi di Livorno dove era nato e cresciuto, il poeta aveva immaginato sua madre da giovane: ne era nata così una rosa di toccanti poesie, confluite poi in Il seme del piangere (Garzanti, 1959). Nell’intervista ritrovata si apprendono nuove preziose notizie su alcune delle più alte poesie di Caproni, in particolare Ad portam inferi – con la struggente raffigurazione della madre Annina già morta e di Giorgio ancora bambino che vaga smarrito lungo i neri Fossi di Livorno – e sulla commossa trasfigurazione che la sua silloge forse più alta offre della brillante e seducente figura che fu Anna Picchi, sua madre e ‘sua fidanzata’.
Giannotti, F. (2022). “Quell’Enea lì mi colpì”: Giorgio Caproni e un’intervista inedita (a 110 anni dalla sua nascita). ATTI E MEMORIE - ACCADEMIA NAZIONALE VIRGILIANA DI SCIENZE LETTERE ED ARTI, 89 (2021), 371-391.
“Quell’Enea lì mi colpì”: Giorgio Caproni e un’intervista inedita (a 110 anni dalla sua nascita)
Giannotti, Filomena
2022-01-01
Abstract
Nel 1948, tornando per una visita da Roma a Genova, il poeta Giorgio Caproni si trovò a passare in Piazza Bandiera e a notare che, fra le persistenti macerie di un pesante bombardamento avvenuto nel 1942, sorgeva pressoché intatta una statua di Enea con il padre Anchise in spalla e il figlio Ascanio per mano. Fu per lui un incontro profondamente emozionante («ciò che di più commovente io abbia visto sulla terra»), perché in quell’eroe che, fuggito da Troia in fiamme, si era ritrovato in una delle piazze più bombardate d’Italia, Caproni scorse il simbolo dell’uomo della sua generazione, solo, dapprima in piena guerra, e poi di fronte al duplice compito di salvare una tradizione vecchia e logora (Anchise) e di promuovere un futuro ancora troppo fragile (il figlioletto Ascanio). Da questo incontro nacquero da un lato uno dei suoi più celebri poemetti, Il passaggio d’Enea, che dà il titolo anche alla sua raccolta uscita nel 1956, dall’altro una ricca serie di prose giornalistiche che insistentemente tornano a sottolineare il rilievo di quella figura per l’uomo moderno («Enea sono io, siamo tutti»). Continuando a seguire le tracce dell’Enea di Caproni (raccolte nel volume Giorgio Caproni, Il mio Enea, di Filomena Giannotti, pubblicato da Garzanti nel trentennale della morte del poeta, il 22 gennaio 2020), questo articolo nasce dalla scoperta, fra le carte del Fondo Caproni della Biblioteca Nazionale di Firenze, di un’intervista di Geno Pampaloni al grande poeta, risalente al 1962 e preparata in vista di una trasmissione televisiva oggi perduta. Se ai funzionari di Raiteche non ne risulta conservata nessuna registrazione, da una ricerca condotta su vecchi numeri del «Radiocorriere tv», la trasmissione sembra essere andata in onda mercoledì 2 maggio 1962, con la dicitura: «Incontri con i poeti. Giorgio Caproni. 22:30». Nelle risposte preparate per Pampaloni, Giorgio Caproni torna una volta di più sulla genesi del Passaggio d’Enea, ribadendo l’importanza cruciale del suo incontro con «un Enea fuggito da una guerra per approdare ad un’altra guerra, e ancora in cerca del luogo dove fondare la nuova città. [...] simbolo dell’uomo moderno, solo nella guerra, con sulle spalle un passato da salvare che crolla da tutte le parti, e per la mano un avvenire che anch’esso vuol essere sostenuto anziché sostenerlo». Ma, oltre a questo, il poeta ripercorre i momenti fondamentali della sua vita e della sua poesia: gli anni giovanili e la formazione nell’amata città di Genova (la sua famiglia vi si trasferì quando lui era ancora bambino); l’importanza della vocazione musicale – in una città che lui sentiva come particolarmente musicale –, concretizzatasi negli studi di violino e, una svolta svanito il suo «sogno paganiniano», nei versi non più «per musica», ma «come musica». Un discorso a parte merita la figura della madre, con la genesi e progressiva formazione dei Versi livornesi a lei dedicati, su cui verte la maggior parte dell’intervista. Tornando ai luoghi di Livorno dove era nato e cresciuto, il poeta aveva immaginato sua madre da giovane: ne era nata così una rosa di toccanti poesie, confluite poi in Il seme del piangere (Garzanti, 1959). Nell’intervista ritrovata si apprendono nuove preziose notizie su alcune delle più alte poesie di Caproni, in particolare Ad portam inferi – con la struggente raffigurazione della madre Annina già morta e di Giorgio ancora bambino che vaga smarrito lungo i neri Fossi di Livorno – e sulla commossa trasfigurazione che la sua silloge forse più alta offre della brillante e seducente figura che fu Anna Picchi, sua madre e ‘sua fidanzata’.File | Dimensione | Formato | |
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