L’Appennino rappresenta una delle catene orogeniche più interessanti e complesse dal punto di vista geologico, che fin da tempi remoti ha attratto l’attenzione di geologi e naturalisti. Questo ha fatto sì che le prime intuizioni scientifiche abbiano avuto come scenario proprio l’Appennino Settentrionale, come quelle di Leonardo da Vinci, o in seguito quelle di Niccolò Stenone che con il trattato “De Solido” (Stenone, 1669) ha gettato le basi per i principi della stratigrafa, o in tempi ancora più recenti, tra il XIX ed il XX secolo, gli studi di alcuni dei padri della geologia moderna, come Bernardino Lotti, Roberto Signorini, Giovanni Capellini, Domenico Zaccagna, Igino Cocchi, Guido Bonarelli e molti altri, fno ad arrivare ai primi modelli che hanno riassunto la struttura dell’intera catena settentrionale. Tra questi è opportuno ricordare il mirabile lavoro di Merla (1951), o il modello dei cunei composti di Migliorini (1948), così come i primi concetti sulle torbiditi di Kuenen & Migliorini (1950) o i primi schemi di analisi di facies, come quello di Mutti & Ricci Lucchi (1972), i modelli bacinali di Sestini (1970) o i modelli di formazione di crosta oceanica di Decandia & Elter (1972). Di estrema rilevanza sono i modelli che hanno anticipato la teoria della tettonica delle placche e hanno illustrato l’esistenza di falde di ricoprimento nell‘Appennino Settentrionale, a cominciare dai lavori di De Launay (1907) e Steinmann (1907), fino ad arrivare ai numerosi lavori di carattere regionale di Giovanni Merla, Livio Trevisan, Raimondo Selli, Piero Elter, Giorgio Zanzucchi, Ernesto Abbate, Valerio Bortolotti, Antonio Lazzarotto, Rodolfo Gelmini, Alberto Castellarin, Tonino Decandia, Gaetano Giglia, Ernesto Centamore, Giampaolo Pialli, e di molti altri geologi strutturali e regionali. Sempre in Appennino Settentrionale sono emerse da parte del gruppo di lavoro di Alvarez et al. (1980) le principali evidenze del limite K/T come riconducibile alla crisi globale connessa con un impatto di asteroidi, quale probabile causa dell’estinzione dei grandi rettili. La carta geologica dell’Appennino Settentrionale a scala 1:250.000 che viene qui presentata, illustra una porzione importante di tale catena e vuole rappresentare una sorta di versione moderna ed aggiornata rispetto alle carte geologiche a scala regionale elaborate in passato, come quelle di Boccaletti & Coli (1982) e di Bigi et al. (1990), le quali hanno costituito uno strumento di studio e di sintesi fondamentale per chiunque abbia affrontato lo studio della geologia di questa spettacolare catena montuosa. Infne, va ricordato il contributo del Progetto CARG del Servizio Geologico d’Italia-ISPRA alla conoscenza geologica dell’Appennino Settentrionale, che costituisce oggi un’imprescindibile fonte di informazioni, nell’ambito del quale devono essere ricordati due ricercatori che hanno contribuito fortemente alla riuscita di questo Progetto: Graziano Plesi e Giampaolo Pialli.
Conti, P., Cornamusini, G., Carmignani, L. (2020). Una carta geologica dell'Appennino Settentrionale, con banca dati GIS. GEOLOGICAMENTE, 3, 8-17 [10.3301/GM.2020.03].
Una carta geologica dell'Appennino Settentrionale, con banca dati GIS
Conti, Paolo;Cornamusini, Gianluca;Carmignani, Luigi
2020-01-01
Abstract
L’Appennino rappresenta una delle catene orogeniche più interessanti e complesse dal punto di vista geologico, che fin da tempi remoti ha attratto l’attenzione di geologi e naturalisti. Questo ha fatto sì che le prime intuizioni scientifiche abbiano avuto come scenario proprio l’Appennino Settentrionale, come quelle di Leonardo da Vinci, o in seguito quelle di Niccolò Stenone che con il trattato “De Solido” (Stenone, 1669) ha gettato le basi per i principi della stratigrafa, o in tempi ancora più recenti, tra il XIX ed il XX secolo, gli studi di alcuni dei padri della geologia moderna, come Bernardino Lotti, Roberto Signorini, Giovanni Capellini, Domenico Zaccagna, Igino Cocchi, Guido Bonarelli e molti altri, fno ad arrivare ai primi modelli che hanno riassunto la struttura dell’intera catena settentrionale. Tra questi è opportuno ricordare il mirabile lavoro di Merla (1951), o il modello dei cunei composti di Migliorini (1948), così come i primi concetti sulle torbiditi di Kuenen & Migliorini (1950) o i primi schemi di analisi di facies, come quello di Mutti & Ricci Lucchi (1972), i modelli bacinali di Sestini (1970) o i modelli di formazione di crosta oceanica di Decandia & Elter (1972). Di estrema rilevanza sono i modelli che hanno anticipato la teoria della tettonica delle placche e hanno illustrato l’esistenza di falde di ricoprimento nell‘Appennino Settentrionale, a cominciare dai lavori di De Launay (1907) e Steinmann (1907), fino ad arrivare ai numerosi lavori di carattere regionale di Giovanni Merla, Livio Trevisan, Raimondo Selli, Piero Elter, Giorgio Zanzucchi, Ernesto Abbate, Valerio Bortolotti, Antonio Lazzarotto, Rodolfo Gelmini, Alberto Castellarin, Tonino Decandia, Gaetano Giglia, Ernesto Centamore, Giampaolo Pialli, e di molti altri geologi strutturali e regionali. Sempre in Appennino Settentrionale sono emerse da parte del gruppo di lavoro di Alvarez et al. (1980) le principali evidenze del limite K/T come riconducibile alla crisi globale connessa con un impatto di asteroidi, quale probabile causa dell’estinzione dei grandi rettili. La carta geologica dell’Appennino Settentrionale a scala 1:250.000 che viene qui presentata, illustra una porzione importante di tale catena e vuole rappresentare una sorta di versione moderna ed aggiornata rispetto alle carte geologiche a scala regionale elaborate in passato, come quelle di Boccaletti & Coli (1982) e di Bigi et al. (1990), le quali hanno costituito uno strumento di studio e di sintesi fondamentale per chiunque abbia affrontato lo studio della geologia di questa spettacolare catena montuosa. Infne, va ricordato il contributo del Progetto CARG del Servizio Geologico d’Italia-ISPRA alla conoscenza geologica dell’Appennino Settentrionale, che costituisce oggi un’imprescindibile fonte di informazioni, nell’ambito del quale devono essere ricordati due ricercatori che hanno contribuito fortemente alla riuscita di questo Progetto: Graziano Plesi e Giampaolo Pialli.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/11365/1146730