Nel quadro delle risorse strategiche e delle tecnologie che hanno permesso la diffusione dei neandertaliani durante fasi climatiche anche fredde, la gestione e l’ottimizzazione del fuoco e dei materiali combustibili ha senza dubbio avuto un ruolo fondamentale. Non stupisce dunque che, tra gli elementi strutturali presenti in grotte e ripari del Paleolitico medio, le aree di combustione rappresentino spesso le evidenze più chiare e numerose. Queste aree possono contenere sia focolari in situ, sia resti di combustione non strutturati. I focolari più frequenti risultano impostati sulle superfici di frequentazione, senza alcun intervento di modificazione dei piani. Spesso sono il risultato di più episodi di accensione in aree relativamente estese o palinsesto di più focolari [1, 2]. In questi casi, la distinzione tra focolari e resti di combustione (addensamenti di cenere con carboni, ossa e litica bruciate) è possibile attraverso l’analisi micromorfologica o, a livello più generale, con l’osservazione delle tracce di scottatura delle superfici [3]. I focolari strutturati in fossette di limitate estensioni costituiscono la seconda tipologia più comune. Anche in questo caso è necessaria l’analisi micromorfologica per riconoscere un’eventuale successione di fasi di utilizzo. Meno frequenti nel Paleolitico medio risultano i focolari strutturati con pietre o impostati in ampi affossamenti. Le abbondanti quantità di ossa bruciate rinvenute in prossimità delle strutture di combustione testimoniano il frequente utilizzo di questo materiale come combustibile. Da prove sperimentali, l’osso spugnoso fratturato risulta un combustibile di buona qualità utilizzato in fuochi innescati da materiale vegetale [4, 5]. I due siti musteriani da cui provengono gli esempi qui illustrati hanno fornito insiemi di focolari impostati all’interno delle stesse fasi di frequentazione e forse utilizzati contemporaneamente. Le diverse organizzazioni delle aree a fuoco (disposizione dei focolari, distanza dalle pareti del riparo, tipologia, dispersione dei resti di combustione) costituiscono un interessante punto di partenza per ricostruire la gestione degli spazi coperti, da parte dei neandertaliani.
Boscato, P., Ronchitelli, A.M. (2008). Strutture di combustione in depositi del Paleolitico medio del Sud Italia. In Atti del XVII Congresso dell'Associazione Antropologica Italiana (pp.218-225). Litografia Press snc, Sestu (CA).
Strutture di combustione in depositi del Paleolitico medio del Sud Italia
BOSCATO, PAOLO;RONCHITELLI, ANNA MARIA
2008-01-01
Abstract
Nel quadro delle risorse strategiche e delle tecnologie che hanno permesso la diffusione dei neandertaliani durante fasi climatiche anche fredde, la gestione e l’ottimizzazione del fuoco e dei materiali combustibili ha senza dubbio avuto un ruolo fondamentale. Non stupisce dunque che, tra gli elementi strutturali presenti in grotte e ripari del Paleolitico medio, le aree di combustione rappresentino spesso le evidenze più chiare e numerose. Queste aree possono contenere sia focolari in situ, sia resti di combustione non strutturati. I focolari più frequenti risultano impostati sulle superfici di frequentazione, senza alcun intervento di modificazione dei piani. Spesso sono il risultato di più episodi di accensione in aree relativamente estese o palinsesto di più focolari [1, 2]. In questi casi, la distinzione tra focolari e resti di combustione (addensamenti di cenere con carboni, ossa e litica bruciate) è possibile attraverso l’analisi micromorfologica o, a livello più generale, con l’osservazione delle tracce di scottatura delle superfici [3]. I focolari strutturati in fossette di limitate estensioni costituiscono la seconda tipologia più comune. Anche in questo caso è necessaria l’analisi micromorfologica per riconoscere un’eventuale successione di fasi di utilizzo. Meno frequenti nel Paleolitico medio risultano i focolari strutturati con pietre o impostati in ampi affossamenti. Le abbondanti quantità di ossa bruciate rinvenute in prossimità delle strutture di combustione testimoniano il frequente utilizzo di questo materiale come combustibile. Da prove sperimentali, l’osso spugnoso fratturato risulta un combustibile di buona qualità utilizzato in fuochi innescati da materiale vegetale [4, 5]. I due siti musteriani da cui provengono gli esempi qui illustrati hanno fornito insiemi di focolari impostati all’interno delle stesse fasi di frequentazione e forse utilizzati contemporaneamente. Le diverse organizzazioni delle aree a fuoco (disposizione dei focolari, distanza dalle pareti del riparo, tipologia, dispersione dei resti di combustione) costituiscono un interessante punto di partenza per ricostruire la gestione degli spazi coperti, da parte dei neandertaliani.File | Dimensione | Formato | |
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