La pratica del “guasto” fu nell’Italia comunale molto diffusa: assunta nel novero degli strumenti e delle politiche giudiziarie, spesso associata alla pena dell’esilio, fu usata dal potere pubblico per punire i suoi nemici: che in primo luogo e dapprima furono coloro che attentavano alla pace interna del comune. Progressivamente i comuni ampliarono e modificarono la nozione e l’immagine del crimine politico qualificando come nemico non più solo chi si rendeva protagonista di azioni e comportamenti che turbavano la concordia cittadina, ma anche chi minacciava il sostegno al governo comunale, non condividendone schieramenti di campo, indirizzi programmatici, scelte di natura politica o militare. Nel corso dei secoli XIII-XIV l’idea del nemico si articolò in diverse immagini. Le peculiarità locali della configurazione sociale, della posizione politico-diplomatica dei comuni ebbero un grande peso nel determinare variabili in questo processo di delimitazione concettuale, ma la direzione appare largamente condivisa e procede nel senso di una progressiva dilatazione dell’idea di delitto politico, speculare ad una progressiva capacità di definizione degli avversari da parte dei poteri comunali in via di consolidamento e ad un progressivo vigore nella predisposizione dei dispositivi di condanna per punire i disordini interni. Nel divampare della lotte di fazione, degli scontri politico e sociali, nel gioco di ritorsioni e vendette, la distruzione di case, palazzi, torri e beni immobili dell’avversario assunse una marcata evidenza: lasciando impronte durature nella morfologia urbana (alterandone il disegno, deviando funzioni, modificandone la toponomastica) ed imprimendosi nella memoria dei cives.
Mucciarelli, R. (2009). Demolizioni punitive: guasti in città. In La costruzione della città comunale italiana (secoli XII-inizio XIV) (pp.293-323). Centro italiano di studi di storia e d'arte.
Demolizioni punitive: guasti in città
MUCCIARELLI, ROBERTA
2009-01-01
Abstract
La pratica del “guasto” fu nell’Italia comunale molto diffusa: assunta nel novero degli strumenti e delle politiche giudiziarie, spesso associata alla pena dell’esilio, fu usata dal potere pubblico per punire i suoi nemici: che in primo luogo e dapprima furono coloro che attentavano alla pace interna del comune. Progressivamente i comuni ampliarono e modificarono la nozione e l’immagine del crimine politico qualificando come nemico non più solo chi si rendeva protagonista di azioni e comportamenti che turbavano la concordia cittadina, ma anche chi minacciava il sostegno al governo comunale, non condividendone schieramenti di campo, indirizzi programmatici, scelte di natura politica o militare. Nel corso dei secoli XIII-XIV l’idea del nemico si articolò in diverse immagini. Le peculiarità locali della configurazione sociale, della posizione politico-diplomatica dei comuni ebbero un grande peso nel determinare variabili in questo processo di delimitazione concettuale, ma la direzione appare largamente condivisa e procede nel senso di una progressiva dilatazione dell’idea di delitto politico, speculare ad una progressiva capacità di definizione degli avversari da parte dei poteri comunali in via di consolidamento e ad un progressivo vigore nella predisposizione dei dispositivi di condanna per punire i disordini interni. Nel divampare della lotte di fazione, degli scontri politico e sociali, nel gioco di ritorsioni e vendette, la distruzione di case, palazzi, torri e beni immobili dell’avversario assunse una marcata evidenza: lasciando impronte durature nella morfologia urbana (alterandone il disegno, deviando funzioni, modificandone la toponomastica) ed imprimendosi nella memoria dei cives.File | Dimensione | Formato | |
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