E’ ormai acclarata la sensibilità di Bonifacio VIII perlle problematiche giuridiche. Lo dimostra soprattutto la pubblicazione del Liber Sextus: testo che rappresenta la prosecuzione dell’attività di riordino del materiale legislativo, inaugurata da Gregorio IX. Dopo il pontificato di Ugolino, infatti, alcuni Pontefici sentono la necessità di pubblicare raccolte normative; contestualmente appaiono numerose raccolte private. B. VIII, pertanto, al fine di procedere al riordino della legislazione, nomina una commissione composta da Guglielmo di Mandagout, Bérenger Frédol e Riccardo Petroni. Il metodo seguito è, però, almeno in parte diverso da quello utilizzato da Raimondo di Pennaforte, che aveva provveduto a redigere il Liber Extra. Questi, pur avendo eliminato del tutto alcune decretali precedenti, ne aveva conservate molte estraendo da queste i passaggi e il dispositivo che erano da assumere come ius generale, indicando contestualmente, con l’espressione "et infra", lo spazio lasciato vuoto a causa dei tagli compiuti. Un’operazione, solo in parte simile, viene compiuta dai redattori del Liber Sextus i quali eliminano molte decretali successive al 1234. Essi recepiscono, lasciandole nella loro integrità testuale, decretali di Innocenzo IV e Gregorio X ma, e questa è la grande novità, a differenza del Penitenziere pontificio catalano, riscrivono tutte le altre mutandone la struttura formale e sostanziale. I tre membri della Commissione, infatti, erano stati autorizzati dal Pontefice a ripensare il testo delle decretali e a redigerne il dettato normativo con una connessione verbale, un fraseggio nuovo che spesso modificava il precedente dispositivo allo scopo di risolvere dubbi o eliminare antinomie. Non più, quindi, raccolta di decisioni dove la regola risultava dal "resecatis superfluis et adiectis propriis statutis", ma una nuova organizzazione della volontà del legislatore che delle precedenti decretali recepiva non il testo genuino ma soltanto il senso e l’adattava alle contingenze del ius condendum. Malgrado le indiscutibili assonanze sotto il profilo più strettamente tecnico-giuridico, l’epoca bonifaciana era però profondamente diversa da quella nella quale avevano operato i grandi legislatori suoi predecessori e conterranei. Il papato doveva ora confrontarsi con una realtà politico-istituzionale che era certamente difforme da quella di Innocenzo III o di Gregorio IX. Il lungo conflitto con il Re di Francia, Filippo il Bello, è noto. Uno dei documenti risalenti a quest’epoca, sui quali la storiografia si è a lungo soffermata, è costituito dalla "Unam sanctam" promulgata dal papa il 18 novembre 1302. Nel testo, sicuramente autentico, rifluiscono ad esempio, oltre a numerosi passi scritturistici, il pensiero di Bernardo di Chiaravalle, di Gregorio VII, di Ugo di San Vittore, di Egidio Romano, di Tommaso d’Aquino, di Innocenzo III e di Innocenzo IV (la bolla Eger cui lenia del 1245). Nella prima parte del documento, che costituisce una vera e propria premessa ecclesiologica emergono con forza le caratteristiche dell’unità e della universalità della Chiesa. Con queste premesse, il discorso dell’ "Unam sanctam" procede e si sviluppa, nella parte successiva, coinvolgendo la metafora delle due spade (quella spirituale e quella temporale) entrambe appartenenti alla Chiesa la quale avrebbe esercitato la sua potestà direttamente (attraverso la spada spirituale) e indirettamente (attraverso la spada temporale). Su questo punto del testo bonifaciano sono fiorite, subito dopo la sua apparizione, numerose interpretazioni dottrinali, talché, in alcune occasioni, è sembrato riprodursi, anche da parte della storiografia, il tono di alcuni polemisti coevi del papa anagnino. La stessa esistenza di più apparati esegetici al testo dell’ "Unam sanctam", con interpretazioni diametralmente opposte o comunque sostanzialmente dissenzienti, sulla cui genesi e paternità la storiografia sta ancora indagando sembrano segnarne indelebilmente il destino. Il tentativo di interpretare le affermazioni del Pontefice deve essere condotto gettando lo sguardo ad un mondo, quello medioevale, del quale B. VIII è forse l’ultimo grande rappresentante; ad una tradizione secolare, che ha visto artefici dell’unità politico-religiosa dell’Occidente cristiano le due grandi potestà universali; ad un ordo giuridico-politico universale nel quale la "discretio" fra lo spirituale ed il temporale, frutto del pensiero cristiano, ha per suo fine "ut simul regale genus et sacerdotale subsistant", alle affermazioni di principio, formulate dai Pontefici precedenti, che possono essere racchiuse nella professione di fede formulata da Innocenzo III nel Concilio Lateranense IV: «Una est Ecclesia: extra Ecclesiam nulla salus». Forse la storiografia non riuscirà mai a dire una parola definitiva sulla "Unam sanctam": un documento redatto in un’epoca caratterizzata da dissensi così marcati fra l’autorità ecclesiastica e le autorità laiche, tali da indurre lo storico ad una lettura esclusivamente politica del documento pontificio, e condotta, a buon bisogno, sulla base di categorie giuridiche (come ad esempio quella di Stato) quasi del tutto ignote all’epoca bonifaciana o tutt’al più ancora in fieri. Se lo farà, dovrà necessariamente ripensare tutta la vicenda, approfondendone i contorni, meditando filologicamente la trama di quel testo, senza dimenticare, proprio sotto il profilo politico che per gli uomini del Medio Evo si può parlare veramente di un diritto senza Stato (se per Stato si intendono le teorizzazioni del XIX e del XX secolo), giacché l’ordinamento, per l’uomo medievale, discende da una concezione metafisica della città terrena. Ma la "Unam sanctam", pur rappresentando un testo che, portato alle estreme conseguenze, comporta necessariamente, nella sua pratica applicazione, valutazioni di tipo politico, appare in realtà come portatore di una definizione dogmatica dell’auctoritas e della potestas pontificia nell’ambito della Chiesa, unica ed universale. "Unum ius, una ecclesia", unum caput. È questa la visione di B. VIII, una visione fondata su principii per lui ormai consolidati, che individuano nel Romano Pontefice il destinatario del "munus petrinum", che gli impone la cura pastorale dell’unica Chiesa, attraverso l’adozione di provvedimenti aventi valore universale. Ed è l’ottica della "reductio ad unum" aristotelica, filtrata nella coscienza dell’uomo del Medio Evo per il tramite delle dottrine di Alberto Magno e di Tommaso d’Aquino; è lo stesso concetto espresso da Jean Lemoine nel commento alla bolla giubilare: «Nam secundum Proculum, omnis multitudo reducitur ad unitatem. Et secundum Philosophum, in unoquoque genere est reperire unum primum, et supremum, quod est mensura et regula omnium aliorum in illo genere contentorum» La "Unam sanctam" fu quindi un richiamo forte ed energico all’unità della Chiesa, al di fuori della quale non vi era la "salus animarum". Qualora, infine, si volesse fare una lettura esclusivamente politica della "Unam sanctam", non sarà superfluo ricordare che il Sinodo, conclusosi con la promulgazione della Bolla, era stato esplicitamente limitato ai prelati francesi. Ciò che B. voleva certamente evitare era il rischio dello scisma di una Chiesa gallicana, sotto il controllo del Sovrano, staccata dall’unico ovile e dall’unico Pastore. Non si spiegherebbe, infatti, l’uso metaforico della tunica inconsutile. B. VIII sapeva assai bene che da un punto di vista politico la realtà medioevale era formata da tante entità particolari, da tanti ordinamenti che, pur mantenendo i propri tratti autonomi, contribuivano a formare una realtà unitaria: l’ordinamento universale. Quell’immagine, pertanto, proprio perché espressione di una tessitura «unica», e non, sempre metaforicamente, un «patchwork» di realtà istituzionali cucite tra loro per formare un «unum corpus», mal si attagliava alle categorie politiche dell’età medioevale. In realtà, riferendosi alla tunica del Cristo egli aveva davanti agli occhi l’unità della Chiesa sotto il profilo gerarchico e pastorale: una unità che, come quel sacro panno, non poteva e non doveva essere lacerata dal comportamento di un Sovrano il quale, ingerendosi in materie fino ad allora ritenute di competenza ecclesiastica, avrebbe potuto generare una dolorosa separazione della Chiesa francese. Con ciò B. VIII riaffermava la sua auctoritas e la sua potestas sui "bona ecclesiastica temporalia et spiritualia". Ma proprio qui si generava il dissenso con il Sovrano francese e la vicenda finiva per colorarsi di toni dal profilo quasi esclusivamente politico: era il concetto di "iurisdictio", inteso come l’ambito di intervento delle due potestà e il limite invalicabile di ciascuna, che veniva diversamente inteso e sostanzialmente determinato. Come ha autorevolmente affermato lo Stickler – «qui già si scontrano due concezioni... di cose ecclesiastiche e statali, di competenza dell’autorità spirituale e temporale: la concezione medievale e quella moderna.

Minnucci, G. (2008). La “Unam sanctam”: tra ecclesiologia e diritto. In I poteri universali e la fondazione dello Studium Urbis. Il Pontefice Bonifacio VIII dalla Unam Sanctam allo “schiaffo” di Anagni, a cura di G. Minnucci (Archivio per la storia del diritto medioevale e moderno; Miscellanee,1) (pp.89-106). Monduzzi Editore.

La “Unam sanctam”: tra ecclesiologia e diritto

MINNUCCI, GIOVANNI
2008-01-01

Abstract

E’ ormai acclarata la sensibilità di Bonifacio VIII perlle problematiche giuridiche. Lo dimostra soprattutto la pubblicazione del Liber Sextus: testo che rappresenta la prosecuzione dell’attività di riordino del materiale legislativo, inaugurata da Gregorio IX. Dopo il pontificato di Ugolino, infatti, alcuni Pontefici sentono la necessità di pubblicare raccolte normative; contestualmente appaiono numerose raccolte private. B. VIII, pertanto, al fine di procedere al riordino della legislazione, nomina una commissione composta da Guglielmo di Mandagout, Bérenger Frédol e Riccardo Petroni. Il metodo seguito è, però, almeno in parte diverso da quello utilizzato da Raimondo di Pennaforte, che aveva provveduto a redigere il Liber Extra. Questi, pur avendo eliminato del tutto alcune decretali precedenti, ne aveva conservate molte estraendo da queste i passaggi e il dispositivo che erano da assumere come ius generale, indicando contestualmente, con l’espressione "et infra", lo spazio lasciato vuoto a causa dei tagli compiuti. Un’operazione, solo in parte simile, viene compiuta dai redattori del Liber Sextus i quali eliminano molte decretali successive al 1234. Essi recepiscono, lasciandole nella loro integrità testuale, decretali di Innocenzo IV e Gregorio X ma, e questa è la grande novità, a differenza del Penitenziere pontificio catalano, riscrivono tutte le altre mutandone la struttura formale e sostanziale. I tre membri della Commissione, infatti, erano stati autorizzati dal Pontefice a ripensare il testo delle decretali e a redigerne il dettato normativo con una connessione verbale, un fraseggio nuovo che spesso modificava il precedente dispositivo allo scopo di risolvere dubbi o eliminare antinomie. Non più, quindi, raccolta di decisioni dove la regola risultava dal "resecatis superfluis et adiectis propriis statutis", ma una nuova organizzazione della volontà del legislatore che delle precedenti decretali recepiva non il testo genuino ma soltanto il senso e l’adattava alle contingenze del ius condendum. Malgrado le indiscutibili assonanze sotto il profilo più strettamente tecnico-giuridico, l’epoca bonifaciana era però profondamente diversa da quella nella quale avevano operato i grandi legislatori suoi predecessori e conterranei. Il papato doveva ora confrontarsi con una realtà politico-istituzionale che era certamente difforme da quella di Innocenzo III o di Gregorio IX. Il lungo conflitto con il Re di Francia, Filippo il Bello, è noto. Uno dei documenti risalenti a quest’epoca, sui quali la storiografia si è a lungo soffermata, è costituito dalla "Unam sanctam" promulgata dal papa il 18 novembre 1302. Nel testo, sicuramente autentico, rifluiscono ad esempio, oltre a numerosi passi scritturistici, il pensiero di Bernardo di Chiaravalle, di Gregorio VII, di Ugo di San Vittore, di Egidio Romano, di Tommaso d’Aquino, di Innocenzo III e di Innocenzo IV (la bolla Eger cui lenia del 1245). Nella prima parte del documento, che costituisce una vera e propria premessa ecclesiologica emergono con forza le caratteristiche dell’unità e della universalità della Chiesa. Con queste premesse, il discorso dell’ "Unam sanctam" procede e si sviluppa, nella parte successiva, coinvolgendo la metafora delle due spade (quella spirituale e quella temporale) entrambe appartenenti alla Chiesa la quale avrebbe esercitato la sua potestà direttamente (attraverso la spada spirituale) e indirettamente (attraverso la spada temporale). Su questo punto del testo bonifaciano sono fiorite, subito dopo la sua apparizione, numerose interpretazioni dottrinali, talché, in alcune occasioni, è sembrato riprodursi, anche da parte della storiografia, il tono di alcuni polemisti coevi del papa anagnino. La stessa esistenza di più apparati esegetici al testo dell’ "Unam sanctam", con interpretazioni diametralmente opposte o comunque sostanzialmente dissenzienti, sulla cui genesi e paternità la storiografia sta ancora indagando sembrano segnarne indelebilmente il destino. Il tentativo di interpretare le affermazioni del Pontefice deve essere condotto gettando lo sguardo ad un mondo, quello medioevale, del quale B. VIII è forse l’ultimo grande rappresentante; ad una tradizione secolare, che ha visto artefici dell’unità politico-religiosa dell’Occidente cristiano le due grandi potestà universali; ad un ordo giuridico-politico universale nel quale la "discretio" fra lo spirituale ed il temporale, frutto del pensiero cristiano, ha per suo fine "ut simul regale genus et sacerdotale subsistant", alle affermazioni di principio, formulate dai Pontefici precedenti, che possono essere racchiuse nella professione di fede formulata da Innocenzo III nel Concilio Lateranense IV: «Una est Ecclesia: extra Ecclesiam nulla salus». Forse la storiografia non riuscirà mai a dire una parola definitiva sulla "Unam sanctam": un documento redatto in un’epoca caratterizzata da dissensi così marcati fra l’autorità ecclesiastica e le autorità laiche, tali da indurre lo storico ad una lettura esclusivamente politica del documento pontificio, e condotta, a buon bisogno, sulla base di categorie giuridiche (come ad esempio quella di Stato) quasi del tutto ignote all’epoca bonifaciana o tutt’al più ancora in fieri. Se lo farà, dovrà necessariamente ripensare tutta la vicenda, approfondendone i contorni, meditando filologicamente la trama di quel testo, senza dimenticare, proprio sotto il profilo politico che per gli uomini del Medio Evo si può parlare veramente di un diritto senza Stato (se per Stato si intendono le teorizzazioni del XIX e del XX secolo), giacché l’ordinamento, per l’uomo medievale, discende da una concezione metafisica della città terrena. Ma la "Unam sanctam", pur rappresentando un testo che, portato alle estreme conseguenze, comporta necessariamente, nella sua pratica applicazione, valutazioni di tipo politico, appare in realtà come portatore di una definizione dogmatica dell’auctoritas e della potestas pontificia nell’ambito della Chiesa, unica ed universale. "Unum ius, una ecclesia", unum caput. È questa la visione di B. VIII, una visione fondata su principii per lui ormai consolidati, che individuano nel Romano Pontefice il destinatario del "munus petrinum", che gli impone la cura pastorale dell’unica Chiesa, attraverso l’adozione di provvedimenti aventi valore universale. Ed è l’ottica della "reductio ad unum" aristotelica, filtrata nella coscienza dell’uomo del Medio Evo per il tramite delle dottrine di Alberto Magno e di Tommaso d’Aquino; è lo stesso concetto espresso da Jean Lemoine nel commento alla bolla giubilare: «Nam secundum Proculum, omnis multitudo reducitur ad unitatem. Et secundum Philosophum, in unoquoque genere est reperire unum primum, et supremum, quod est mensura et regula omnium aliorum in illo genere contentorum» La "Unam sanctam" fu quindi un richiamo forte ed energico all’unità della Chiesa, al di fuori della quale non vi era la "salus animarum". Qualora, infine, si volesse fare una lettura esclusivamente politica della "Unam sanctam", non sarà superfluo ricordare che il Sinodo, conclusosi con la promulgazione della Bolla, era stato esplicitamente limitato ai prelati francesi. Ciò che B. voleva certamente evitare era il rischio dello scisma di una Chiesa gallicana, sotto il controllo del Sovrano, staccata dall’unico ovile e dall’unico Pastore. Non si spiegherebbe, infatti, l’uso metaforico della tunica inconsutile. B. VIII sapeva assai bene che da un punto di vista politico la realtà medioevale era formata da tante entità particolari, da tanti ordinamenti che, pur mantenendo i propri tratti autonomi, contribuivano a formare una realtà unitaria: l’ordinamento universale. Quell’immagine, pertanto, proprio perché espressione di una tessitura «unica», e non, sempre metaforicamente, un «patchwork» di realtà istituzionali cucite tra loro per formare un «unum corpus», mal si attagliava alle categorie politiche dell’età medioevale. In realtà, riferendosi alla tunica del Cristo egli aveva davanti agli occhi l’unità della Chiesa sotto il profilo gerarchico e pastorale: una unità che, come quel sacro panno, non poteva e non doveva essere lacerata dal comportamento di un Sovrano il quale, ingerendosi in materie fino ad allora ritenute di competenza ecclesiastica, avrebbe potuto generare una dolorosa separazione della Chiesa francese. Con ciò B. VIII riaffermava la sua auctoritas e la sua potestas sui "bona ecclesiastica temporalia et spiritualia". Ma proprio qui si generava il dissenso con il Sovrano francese e la vicenda finiva per colorarsi di toni dal profilo quasi esclusivamente politico: era il concetto di "iurisdictio", inteso come l’ambito di intervento delle due potestà e il limite invalicabile di ciascuna, che veniva diversamente inteso e sostanzialmente determinato. Come ha autorevolmente affermato lo Stickler – «qui già si scontrano due concezioni... di cose ecclesiastiche e statali, di competenza dell’autorità spirituale e temporale: la concezione medievale e quella moderna.
2008
9788832361216
Minnucci, G. (2008). La “Unam sanctam”: tra ecclesiologia e diritto. In I poteri universali e la fondazione dello Studium Urbis. Il Pontefice Bonifacio VIII dalla Unam Sanctam allo “schiaffo” di Anagni, a cura di G. Minnucci (Archivio per la storia del diritto medioevale e moderno; Miscellanee,1) (pp.89-106). Monduzzi Editore.
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