Fra il protagonista di Un re in ascolto di Italo Calvino e i vari Tiberio, Augusto e Serse, introdotti da Seneca in alcuni dei tanti aneddoti storici di cui pullula il suo trattato su I benefici, è possibile riscontrare – sia pure all’interno di mutati contesti culturali – evidenti consonanze. Sia per lo scrittore italiano che per il filosofo di Cordova il potere autocratico, vittima di una grottesca paranoia, sembra bramoso di intercettare di nascosto e spiare i discorsi dei sottoposti e, nello stesso tempo, si rivela incapace (anche a proprio rischio) di ascoltare le parole di verità e di prenderne atto. In questo, sia in Seneca che in Calvino, i governanti presentano analoghi tratti mistificatori e mortiferi, che li portano a distorcere il significato degli enunciati e delle cose, imponendo agli altri, e a sé stessi, l’inferno del doppio senso e dell’inautenticità. Entrambi gli autori sembrano però prevedere vie di uscita sorprendenti: in Calvino c’è il canto che umanizza l’ascolto del re, in Seneca c’è la pervicace insistenza del dono della parola autentica da parte dei sottoposti che “addomestica” il potere (o almeno ci tenta).
Li Causi, P. (2010). Ascolto e potere ne I benefici di Seneca (e in un racconto di Calvino). In A. Cozzo (a cura di), Le orecchie e il potere: aspetti socioantropologici dell'ascolto nel mondo antico e nel mondo contemporaneo (pp. 245-270). Roma : Carocci.
Ascolto e potere ne I benefici di Seneca (e in un racconto di Calvino)
Li Causi, Pietro
2010-01-01
Abstract
Fra il protagonista di Un re in ascolto di Italo Calvino e i vari Tiberio, Augusto e Serse, introdotti da Seneca in alcuni dei tanti aneddoti storici di cui pullula il suo trattato su I benefici, è possibile riscontrare – sia pure all’interno di mutati contesti culturali – evidenti consonanze. Sia per lo scrittore italiano che per il filosofo di Cordova il potere autocratico, vittima di una grottesca paranoia, sembra bramoso di intercettare di nascosto e spiare i discorsi dei sottoposti e, nello stesso tempo, si rivela incapace (anche a proprio rischio) di ascoltare le parole di verità e di prenderne atto. In questo, sia in Seneca che in Calvino, i governanti presentano analoghi tratti mistificatori e mortiferi, che li portano a distorcere il significato degli enunciati e delle cose, imponendo agli altri, e a sé stessi, l’inferno del doppio senso e dell’inautenticità. Entrambi gli autori sembrano però prevedere vie di uscita sorprendenti: in Calvino c’è il canto che umanizza l’ascolto del re, in Seneca c’è la pervicace insistenza del dono della parola autentica da parte dei sottoposti che “addomestica” il potere (o almeno ci tenta).File | Dimensione | Formato | |
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