La tesi è dedicata allo studio delle ripetizioni lessicali in D’Annunzio, in Pascoli e in alcuni poeti del primo Novecento (Corrado Govoni, Sergio Corazzini, Marino Moretti, Aldo Palazzeschi, Guido Gozzano, Umberto Saba, Clemente Rebora, Dino Campana, Camillo Sbarbaro). Lo scopo del lavoro è stato quello di comprendere e definire dal punto di vista stilistico-espressivo un aspetto finora poco indagato della poesia di D’Annunzio e Pascoli, ossia dei due autori che più di tutti hanno contribuito alla fondazione della lingua della poesia italiana novecentesca. L’estensione dell’indagine ad altri poeti esordienti nel primo quindicennio del XX secolo mira a offrire una prima verifica dei possibili influssi che, anche nel dominio della ripetizione lessicale, la doppia esperienza pascoliana e dannunziana ha avuto sulla poesia immediatamente successiva. Nel caso dei due “padri” si sono riscontrate com’è ovvio diverse strategie comuni, a partire dall’uso della ripetizione – specialmente a distanza – in funzione strutturante: è il caso delle anafore strofiche, o dei ritornelli, o ancora di serie iterative riferite al tema o ai temi principali del testo. Anche nel quadro di questi moduli standard, comunque, sono riconoscibili significative differenze. Più in generale si sono rilevati diversi aspetti caratterizzanti l’uso della ripetizione in ciascuno dei due poeti. In D’Annunzio, per esempio, si ha un impiego su vasta scala di stilemi iterativi deputati all’enfasi patetica (geminationes, repliche e anafore vocative, imperative, esclamative e interrogative, dittologie anaforiche, ecc.), spesso potenziati quantitativamente, come nel caso in cui tali moduli partecipano alle strutture elencatorie tipiche dell’oratio perpetua delle Laudi. Rispetto a Pascoli, inoltre, D’Annunzio sfrutta con maggiore insistenza gli sfasamenti tra piano metrico e piano sintattico, per dare vita a configurazioni dinamiche anche nella ripetizione: ciò accade particolarmente nelle strofi lunghe alcionie e in diversi luoghi di Maia, dove la mobilità di queste configurazioni è favorita dall’anisosillabismo e dal verso tendenzialmente breve. Venendo allo specifico di Pascoli, gli usi più marcati vanno in prima istanza ricondotti all’ambito che ho chiamato “popolareggiante-infantile”: vale a dire un uso della ripetizione che mima movenze linguistiche infantili e/o tipiche di forme di poesia popolare, come ballate, filastrocche, ninne nanne. Vanno in questa direzione regressiva i raddoppiamenti aggettivali e avverbiali (del tipo bianca bianca, lontano lontano), le epanalessi verbali che riproducono in modo immediato il ripetersi di un’azione, fino all’iconismo perfetto delle epanalessi onomatopeiche, o ancora le epanalessi che saturano un intero verso, realizzando una corrispondenza tra iterazione ritmica e iterazione lessicale; a questi moduli si aggiungono i ritornelli regolari, ma anche le anafore consecutive rafforzate da parallelismi sintattici e ritmici, con forte incremento della cantabilità “facile” della sequenza. Molto di quanto rilevato in D’Annunzio e Pascoli si ritrova nei poeti del primo Novecento. Tenendosi a pochi esempi, il pathos iterativo dannunziano – per quanto mai ai livelli parossistici del modello – ha lasciato tracce in poeti tendenti a una forma di sublime come Campana e Rebora, ma anche in certe invettive, magari parodiche, del Palazzeschi “incendiario”. In Corazzini, Moretti e Govoni le ripetizioni patetiche assomigliano più a quelle pascoliane, per il comune atteggiamento elegiaco e disforico, ma a quest’uso concorre senza dubbio anche il modello del Poema paradisiaco (come avviene di sicuro per la patina galante di certe ripetizioni di Gozzano). L’area crepuscolare, con Moretti in testa, è anche quella maggiormente ricettiva nei confronti dei moduli iterativi del popolareggiante-infantile pascoliano.
Villa, M. (2019). La ripetizione lessicale in D'Annunzio, in Pascoli e nella poesia italiana del primo Novecento.
La ripetizione lessicale in D'Annunzio, in Pascoli e nella poesia italiana del primo Novecento
VILLA, MARCO
2019-01-01
Abstract
La tesi è dedicata allo studio delle ripetizioni lessicali in D’Annunzio, in Pascoli e in alcuni poeti del primo Novecento (Corrado Govoni, Sergio Corazzini, Marino Moretti, Aldo Palazzeschi, Guido Gozzano, Umberto Saba, Clemente Rebora, Dino Campana, Camillo Sbarbaro). Lo scopo del lavoro è stato quello di comprendere e definire dal punto di vista stilistico-espressivo un aspetto finora poco indagato della poesia di D’Annunzio e Pascoli, ossia dei due autori che più di tutti hanno contribuito alla fondazione della lingua della poesia italiana novecentesca. L’estensione dell’indagine ad altri poeti esordienti nel primo quindicennio del XX secolo mira a offrire una prima verifica dei possibili influssi che, anche nel dominio della ripetizione lessicale, la doppia esperienza pascoliana e dannunziana ha avuto sulla poesia immediatamente successiva. Nel caso dei due “padri” si sono riscontrate com’è ovvio diverse strategie comuni, a partire dall’uso della ripetizione – specialmente a distanza – in funzione strutturante: è il caso delle anafore strofiche, o dei ritornelli, o ancora di serie iterative riferite al tema o ai temi principali del testo. Anche nel quadro di questi moduli standard, comunque, sono riconoscibili significative differenze. Più in generale si sono rilevati diversi aspetti caratterizzanti l’uso della ripetizione in ciascuno dei due poeti. In D’Annunzio, per esempio, si ha un impiego su vasta scala di stilemi iterativi deputati all’enfasi patetica (geminationes, repliche e anafore vocative, imperative, esclamative e interrogative, dittologie anaforiche, ecc.), spesso potenziati quantitativamente, come nel caso in cui tali moduli partecipano alle strutture elencatorie tipiche dell’oratio perpetua delle Laudi. Rispetto a Pascoli, inoltre, D’Annunzio sfrutta con maggiore insistenza gli sfasamenti tra piano metrico e piano sintattico, per dare vita a configurazioni dinamiche anche nella ripetizione: ciò accade particolarmente nelle strofi lunghe alcionie e in diversi luoghi di Maia, dove la mobilità di queste configurazioni è favorita dall’anisosillabismo e dal verso tendenzialmente breve. Venendo allo specifico di Pascoli, gli usi più marcati vanno in prima istanza ricondotti all’ambito che ho chiamato “popolareggiante-infantile”: vale a dire un uso della ripetizione che mima movenze linguistiche infantili e/o tipiche di forme di poesia popolare, come ballate, filastrocche, ninne nanne. Vanno in questa direzione regressiva i raddoppiamenti aggettivali e avverbiali (del tipo bianca bianca, lontano lontano), le epanalessi verbali che riproducono in modo immediato il ripetersi di un’azione, fino all’iconismo perfetto delle epanalessi onomatopeiche, o ancora le epanalessi che saturano un intero verso, realizzando una corrispondenza tra iterazione ritmica e iterazione lessicale; a questi moduli si aggiungono i ritornelli regolari, ma anche le anafore consecutive rafforzate da parallelismi sintattici e ritmici, con forte incremento della cantabilità “facile” della sequenza. Molto di quanto rilevato in D’Annunzio e Pascoli si ritrova nei poeti del primo Novecento. Tenendosi a pochi esempi, il pathos iterativo dannunziano – per quanto mai ai livelli parossistici del modello – ha lasciato tracce in poeti tendenti a una forma di sublime come Campana e Rebora, ma anche in certe invettive, magari parodiche, del Palazzeschi “incendiario”. In Corazzini, Moretti e Govoni le ripetizioni patetiche assomigliano più a quelle pascoliane, per il comune atteggiamento elegiaco e disforico, ma a quest’uso concorre senza dubbio anche il modello del Poema paradisiaco (come avviene di sicuro per la patina galante di certe ripetizioni di Gozzano). L’area crepuscolare, con Moretti in testa, è anche quella maggiormente ricettiva nei confronti dei moduli iterativi del popolareggiante-infantile pascoliano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/11365/1068579
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