La definizione di storia dell’Università implica il riferimento ad ambiti di ricerca spesso alquanto diversi tra loro. Di volta in volta può essere infatti investita la storia della società, della cultura, degli intellettuali, oppure si analizzano le singole figure dei docenti e delle loro «scuole», ma anche le caratteristiche degli studenti. È comunque indubbia la centralità delle ricerche di storia del diritto e delle istituzioni, che muovendo dagli Studi medioevali attraversano la storia d’Europa fino ai nostri giorni. Si colgono così il significato specifico dell’Università come sede di istruzione superiore, la sua regolamentazione da un punto di vista normativo, il suo rapporto con il potere politico, la trasformazione delle Facoltà e degli ordinamenti didattici fino all’età contemporanea. All’interno e a fianco di questi - così come di altri filoni di studio sull’Università -, si è naturalmente sviluppato uno stretto legame con la storia delle singole città. Ogni specifica realtà universitaria del resto rappresenta un elemento portante delle vicende locali, che a seconda dei casi viene collocato in una prospettiva cittadina o nello scambio con sedi diverse. Tutto particolare risulta a questo proposito il caso della storia dell’Università in Italia incentrata sul periodo post-unitario. La forte tradizione municipale da un lato, e la scelta accentratrice sul piano amministrativo dall’altro, hanno di fatto favorito lo sviluppo di una produzione storiografica generalmente relativa alle singole città e sedi universitarie, oppure all’Università e alle scelte di politica universitaria sul piano nazionale. E si potrebbe affermare che ciò risponde anche ad uno dei tratti caratteristici della stessa realtà accademica, non solo italiana, con il dibattito che contrappone l’autonomia degli Atenei pubblici sul piano finanziario, organizzativo, didattico, alle esigenze di uniformazione e di controllo dall’alto. Proprio da queste considerazioni è nata dunque l’idea di un numero monografico della «Rassegna storica toscana» che invece guardasse alla storia dell’Università italiana in una prospettiva regionale, mettendo a fianco e a confronto le vicende delle tre sedi universitarie di Pisa, Siena e Firenze in età moderna e contemporanea. Nel saggio introduttivo Donatella Cherubini ripercorre il tormentato sviluppo del sistema universitario post-unitario, in cui le due sedi toscane di Pisa e Siena e l’Istituto superiore fiorentino si confrontavano con problematiche nazionali e sviluppavano la propria antica tradizione scientifica. Particolare rilievo assume il problema della classificazione e ridimensionamento delle Università, già prospettato con il Ministro Matteucci all’indomani dell’Unità, nuovamente minacciato e aggravato con il progetto del Ministro Martini a fine ‘800, e poi riproposto con la riforma Gentile: un rischio per lo Studio senese che nel tempo venne superato attraverso il concorso di un consorzio di Istituzioni e enti locali. Se il caso pisano viene seguito tenendo presente anche la vicenda della Scuola Normale, quello fiorentino trova il culmine nella trasformazione in vera e propria Università sotto il fascismo. Lo studio presenta dati e tabelle relativi al numero di Facoltà attivate e di studenti iscritti dall’anno accademico 1861-62 a quello 2000-2001. Come per il resto d’Italia, anche per la Toscana con il Testo unico del 1933 vennero istituite le nuove facoltà rispetto a quelle fino allora presenti sul territorio nazionale (Lettere e Filosofia, Medicina e Chirurgia, Giurisprudenza, Scienze matematiche fisiche e naturali). Naturalmente il vero e proprio sviluppo si ebbe poi con il secondo dopoguerra e con la scolarizzazione di massa, fonte di grandi potenzialità ma anche di forti contraddizioni e debolezze, di cui la competizione tra Atenei e la crescita esponenziale dei Corsi di studio continua a pesare sulla realtà universitaria regionale. Gli altri contributi sono inseriti seguendo ancora una volta il criterio diacronico. Si è cioè tenuto presente il periodo nella storia delle Università toscane tra ‘800 e ‘900 su cui ciascuno di essi è principalmente incentrato. Risultano perciò alternati «momenti e figure» relativi ad una prospettiva di confronto diretto tra i tre Atenei, e quelli specificamente dedicati a Pisa, Siena e Firenze. Il saggio di Alessandro Volpi illustra la realtà universitaria pisana e toscana a metà dell’800, durante la vicenda dell’Ateneo etrusco, muovendo da un suggestivo quadro della mobilitazione risorgimentale di studenti e docenti. A fronte del clima denso di fermenti del 1848, la svolta restauratrice di Leopoldo II non solo chiuse decisamente le aspettative di stampo democratico e liberale, ma spezzò anche i rinnovati legami ideali, politici e culturali che univano l’Università di Pisa e l’Università di Siena. La scelta di dividere gli studi superiori tra le due sedi – motivata da esigenze economiche – di fatto celava una decisa volontà di controllo sui vertici periferici dell’apparato universitario. Lo studio della realtà pisana prosegue nell’ampio saggio di Romano Paolo Coppini che ne ricostruisce caratteristiche, protagonisti e vicende dall’Unità al fascismo, spingendosi fino ai nostri giorni, con costanti riferimenti sia alla politica ministeriale, sia al quadro dell’istruzione superiore in Toscana. Il passaggio dal Governo provvisorio al Regno d’Italia viene illustrato attraverso il calzante parallelo tra la partecipazione politica risorgimentale ed il processo di Risorgimento universitario dopo la fase dell’Ateneo Etrusco. Si ebbe allora la definitiva affermazione dell’Università come luogo di formazione superiore pubblica con il conseguente adeguamento delle strutture accademiche e la regolarizzazione dell’iter universitario. Nel saggio di Floriana Colao, il progetto Martini dei primi anni ’90 dell’800 viene presentato e incisivamente illustrato in base alle premesse, alla articolazione interna, alla collocazione in seno al più ampio dibattito sul ridimensionamento del numero di sedi universitarie nel nostro Paese. L’analisi è dedicata soprattutto all’Ateneo senese e alle reazioni dei suoi esponenti nei confronti delle rigide valutazioni quantitative da cui nasceva il progetto ministeriale. Ma la prospettiva è quella della politica universitaria nazionale, con l’intreccio di tematiche centrali nella storia del sistema di istruzione superiore italiano. Ovvero di tematiche che investono il rapporto tra Stato, Università e Enti locali, chiamando in causa l’autonomia universitaria oppure evocando sia la libertà di insegnamento, sia il valore delle «tradizioni scientifiche» locali. Con il contributo di Sandro Rogari l’analisi si estende alla realtà fiorentina nel periodo fascista, con puntuali riferimenti al quadro degli insegnamenti superiori sul piano cittadino, al cui interno si collocava la particolare vicenda dell’Istituto di Scienze sociali «Cesare Alfieri». Muovendo da una profonda conoscenza della storia dell’Istituto, si individuano così i tempi e i modi che ne suscitarono «l’orgoglio dell’autonomia», proprio negli anni del suo riconoscimento prima come Istituto superiore e poi come Facoltà. Da un lato la legittimazione universitaria di Firenze portò i rischi di un assorbimento nella nuova Facoltà di Giurisprudenza, ma anche di un accorpamento con la nascente Facoltà di Economia e Commercio. Dall’altro, venivano progressivamente aumentando le minacce di fascistizzazione. Il «Cesare Alfieri» trovò comunque chi temporaneamente salvaguardò sia l’eredità morale del suo fondatore, sia la consolidata tradizione come prestigiosa «scuola» dei diplomatici italiani. Se infine si allineò al regime, nel secondo dopoguerra era poi destinato ad una nuova, ricca e fertile stagione, sotto la guida di Giuseppe Maranini. Nel saggio di Stefano Maggi e Saverio Battente si sottolinea invece l’importanza dell’Università in relazione alla più generale crescita delle città toscane nella ricerca e nelle attività imprenditoriali. La vicenda professionale di Achille Sclavo - docente e Rettore dell’Ateneo senese, ma anche figura di spicco nell’impegno per la sanità e l’igiene pubblica sul piano nazionale -, si delineò infatti nell’intreccio tra percorso accademico, radicamento nel tessuto sociale locale e innovazione nella sperimentazione scientifica, che lo portarono a fondare l’Istituto sieroterapico e vaccinogeno toscano, con sede a Siena. Da una esperienza che si snoda tra la fine dell’800 e il fascismo emergono una serie di tratti fondamentali per comprendere la realtà senese - in particolare il rapporto città-campagna ma anche le aperture e le resistenze al processo di modernizzazione. Su tale sfondo si inserisce quindi il ruolo nevralgico dell’Università nel favorire il decollo di un Istituto che doveva confermare la propria fama nel secondo dopoguerra, con la produzione del vaccino contro la poliomielite. Eva Casagli illustra infine un momento cruciale nel passaggio verso l’Università di massa, con una analisi comparata e integrata sulle origini del Sessantotto in Toscana. La vicenda dei mesi precedenti alla esplosione del maggio consente di cogliere il confronto del Movimento con la tradizionale rappresentanza studentesca da un lato e le autorità accademiche dall’altro, fino al pieno delinearsi di una contestazione dai caratteri innovativi, forti e globali. Gli eventi pisani hanno naturalmente un ruolo centrale, con l’occupazione della Sapienza e le successive Tesi destinate a segnare il Sessantotto italiano. Ma nel complesso risulta un quadro particolarmente vivace e composito, con la mobilitazione fiorentina che sembra innestarsi nel clima di solidarietà giovanile per gli effetti dell’alluvione dell’Arno, e con la più lenta nascita del Movimento studentesco a Siena, dopo le iniziali agitazioni di alcune categorie di docenti. Da tali premesse si sviluppò il Sessantotto toscano, originale e al contempo emblematico nella profonda trasformazione all’epoca in corso nella società italiana. Da tutti i contributi emerge quindi l’importanza che le Università statali hanno avuto per le rispettive città e di conseguenza per tutta la Toscana. Si tratta cioè di spaccati che dimostrano il ruolo fondamentale svolto dal sistema di istruzione superiore pubblico italiano tra ‘800 e ‘900, pur segnato dai costanti problemi di adattamento alle trasformazioni del Paese. Con l’auspicio che nonostante i nuovi e profondi cambiamenti, le sfide ma anche i rischi oggi in corso, tale ruolo si conservi e si rafforzi ulteriormente nel nuovo millennio.

Cherubini, D. (a cura di). (2005). Le Università toscane: momenti e figure tra '800 e '900. FIRENZE : Leo S. Olschki.

Le Università toscane: momenti e figure tra '800 e '900

CHERUBINI, DONATELLA
2005-01-01

Abstract

La definizione di storia dell’Università implica il riferimento ad ambiti di ricerca spesso alquanto diversi tra loro. Di volta in volta può essere infatti investita la storia della società, della cultura, degli intellettuali, oppure si analizzano le singole figure dei docenti e delle loro «scuole», ma anche le caratteristiche degli studenti. È comunque indubbia la centralità delle ricerche di storia del diritto e delle istituzioni, che muovendo dagli Studi medioevali attraversano la storia d’Europa fino ai nostri giorni. Si colgono così il significato specifico dell’Università come sede di istruzione superiore, la sua regolamentazione da un punto di vista normativo, il suo rapporto con il potere politico, la trasformazione delle Facoltà e degli ordinamenti didattici fino all’età contemporanea. All’interno e a fianco di questi - così come di altri filoni di studio sull’Università -, si è naturalmente sviluppato uno stretto legame con la storia delle singole città. Ogni specifica realtà universitaria del resto rappresenta un elemento portante delle vicende locali, che a seconda dei casi viene collocato in una prospettiva cittadina o nello scambio con sedi diverse. Tutto particolare risulta a questo proposito il caso della storia dell’Università in Italia incentrata sul periodo post-unitario. La forte tradizione municipale da un lato, e la scelta accentratrice sul piano amministrativo dall’altro, hanno di fatto favorito lo sviluppo di una produzione storiografica generalmente relativa alle singole città e sedi universitarie, oppure all’Università e alle scelte di politica universitaria sul piano nazionale. E si potrebbe affermare che ciò risponde anche ad uno dei tratti caratteristici della stessa realtà accademica, non solo italiana, con il dibattito che contrappone l’autonomia degli Atenei pubblici sul piano finanziario, organizzativo, didattico, alle esigenze di uniformazione e di controllo dall’alto. Proprio da queste considerazioni è nata dunque l’idea di un numero monografico della «Rassegna storica toscana» che invece guardasse alla storia dell’Università italiana in una prospettiva regionale, mettendo a fianco e a confronto le vicende delle tre sedi universitarie di Pisa, Siena e Firenze in età moderna e contemporanea. Nel saggio introduttivo Donatella Cherubini ripercorre il tormentato sviluppo del sistema universitario post-unitario, in cui le due sedi toscane di Pisa e Siena e l’Istituto superiore fiorentino si confrontavano con problematiche nazionali e sviluppavano la propria antica tradizione scientifica. Particolare rilievo assume il problema della classificazione e ridimensionamento delle Università, già prospettato con il Ministro Matteucci all’indomani dell’Unità, nuovamente minacciato e aggravato con il progetto del Ministro Martini a fine ‘800, e poi riproposto con la riforma Gentile: un rischio per lo Studio senese che nel tempo venne superato attraverso il concorso di un consorzio di Istituzioni e enti locali. Se il caso pisano viene seguito tenendo presente anche la vicenda della Scuola Normale, quello fiorentino trova il culmine nella trasformazione in vera e propria Università sotto il fascismo. Lo studio presenta dati e tabelle relativi al numero di Facoltà attivate e di studenti iscritti dall’anno accademico 1861-62 a quello 2000-2001. Come per il resto d’Italia, anche per la Toscana con il Testo unico del 1933 vennero istituite le nuove facoltà rispetto a quelle fino allora presenti sul territorio nazionale (Lettere e Filosofia, Medicina e Chirurgia, Giurisprudenza, Scienze matematiche fisiche e naturali). Naturalmente il vero e proprio sviluppo si ebbe poi con il secondo dopoguerra e con la scolarizzazione di massa, fonte di grandi potenzialità ma anche di forti contraddizioni e debolezze, di cui la competizione tra Atenei e la crescita esponenziale dei Corsi di studio continua a pesare sulla realtà universitaria regionale. Gli altri contributi sono inseriti seguendo ancora una volta il criterio diacronico. Si è cioè tenuto presente il periodo nella storia delle Università toscane tra ‘800 e ‘900 su cui ciascuno di essi è principalmente incentrato. Risultano perciò alternati «momenti e figure» relativi ad una prospettiva di confronto diretto tra i tre Atenei, e quelli specificamente dedicati a Pisa, Siena e Firenze. Il saggio di Alessandro Volpi illustra la realtà universitaria pisana e toscana a metà dell’800, durante la vicenda dell’Ateneo etrusco, muovendo da un suggestivo quadro della mobilitazione risorgimentale di studenti e docenti. A fronte del clima denso di fermenti del 1848, la svolta restauratrice di Leopoldo II non solo chiuse decisamente le aspettative di stampo democratico e liberale, ma spezzò anche i rinnovati legami ideali, politici e culturali che univano l’Università di Pisa e l’Università di Siena. La scelta di dividere gli studi superiori tra le due sedi – motivata da esigenze economiche – di fatto celava una decisa volontà di controllo sui vertici periferici dell’apparato universitario. Lo studio della realtà pisana prosegue nell’ampio saggio di Romano Paolo Coppini che ne ricostruisce caratteristiche, protagonisti e vicende dall’Unità al fascismo, spingendosi fino ai nostri giorni, con costanti riferimenti sia alla politica ministeriale, sia al quadro dell’istruzione superiore in Toscana. Il passaggio dal Governo provvisorio al Regno d’Italia viene illustrato attraverso il calzante parallelo tra la partecipazione politica risorgimentale ed il processo di Risorgimento universitario dopo la fase dell’Ateneo Etrusco. Si ebbe allora la definitiva affermazione dell’Università come luogo di formazione superiore pubblica con il conseguente adeguamento delle strutture accademiche e la regolarizzazione dell’iter universitario. Nel saggio di Floriana Colao, il progetto Martini dei primi anni ’90 dell’800 viene presentato e incisivamente illustrato in base alle premesse, alla articolazione interna, alla collocazione in seno al più ampio dibattito sul ridimensionamento del numero di sedi universitarie nel nostro Paese. L’analisi è dedicata soprattutto all’Ateneo senese e alle reazioni dei suoi esponenti nei confronti delle rigide valutazioni quantitative da cui nasceva il progetto ministeriale. Ma la prospettiva è quella della politica universitaria nazionale, con l’intreccio di tematiche centrali nella storia del sistema di istruzione superiore italiano. Ovvero di tematiche che investono il rapporto tra Stato, Università e Enti locali, chiamando in causa l’autonomia universitaria oppure evocando sia la libertà di insegnamento, sia il valore delle «tradizioni scientifiche» locali. Con il contributo di Sandro Rogari l’analisi si estende alla realtà fiorentina nel periodo fascista, con puntuali riferimenti al quadro degli insegnamenti superiori sul piano cittadino, al cui interno si collocava la particolare vicenda dell’Istituto di Scienze sociali «Cesare Alfieri». Muovendo da una profonda conoscenza della storia dell’Istituto, si individuano così i tempi e i modi che ne suscitarono «l’orgoglio dell’autonomia», proprio negli anni del suo riconoscimento prima come Istituto superiore e poi come Facoltà. Da un lato la legittimazione universitaria di Firenze portò i rischi di un assorbimento nella nuova Facoltà di Giurisprudenza, ma anche di un accorpamento con la nascente Facoltà di Economia e Commercio. Dall’altro, venivano progressivamente aumentando le minacce di fascistizzazione. Il «Cesare Alfieri» trovò comunque chi temporaneamente salvaguardò sia l’eredità morale del suo fondatore, sia la consolidata tradizione come prestigiosa «scuola» dei diplomatici italiani. Se infine si allineò al regime, nel secondo dopoguerra era poi destinato ad una nuova, ricca e fertile stagione, sotto la guida di Giuseppe Maranini. Nel saggio di Stefano Maggi e Saverio Battente si sottolinea invece l’importanza dell’Università in relazione alla più generale crescita delle città toscane nella ricerca e nelle attività imprenditoriali. La vicenda professionale di Achille Sclavo - docente e Rettore dell’Ateneo senese, ma anche figura di spicco nell’impegno per la sanità e l’igiene pubblica sul piano nazionale -, si delineò infatti nell’intreccio tra percorso accademico, radicamento nel tessuto sociale locale e innovazione nella sperimentazione scientifica, che lo portarono a fondare l’Istituto sieroterapico e vaccinogeno toscano, con sede a Siena. Da una esperienza che si snoda tra la fine dell’800 e il fascismo emergono una serie di tratti fondamentali per comprendere la realtà senese - in particolare il rapporto città-campagna ma anche le aperture e le resistenze al processo di modernizzazione. Su tale sfondo si inserisce quindi il ruolo nevralgico dell’Università nel favorire il decollo di un Istituto che doveva confermare la propria fama nel secondo dopoguerra, con la produzione del vaccino contro la poliomielite. Eva Casagli illustra infine un momento cruciale nel passaggio verso l’Università di massa, con una analisi comparata e integrata sulle origini del Sessantotto in Toscana. La vicenda dei mesi precedenti alla esplosione del maggio consente di cogliere il confronto del Movimento con la tradizionale rappresentanza studentesca da un lato e le autorità accademiche dall’altro, fino al pieno delinearsi di una contestazione dai caratteri innovativi, forti e globali. Gli eventi pisani hanno naturalmente un ruolo centrale, con l’occupazione della Sapienza e le successive Tesi destinate a segnare il Sessantotto italiano. Ma nel complesso risulta un quadro particolarmente vivace e composito, con la mobilitazione fiorentina che sembra innestarsi nel clima di solidarietà giovanile per gli effetti dell’alluvione dell’Arno, e con la più lenta nascita del Movimento studentesco a Siena, dopo le iniziali agitazioni di alcune categorie di docenti. Da tali premesse si sviluppò il Sessantotto toscano, originale e al contempo emblematico nella profonda trasformazione all’epoca in corso nella società italiana. Da tutti i contributi emerge quindi l’importanza che le Università statali hanno avuto per le rispettive città e di conseguenza per tutta la Toscana. Si tratta cioè di spaccati che dimostrano il ruolo fondamentale svolto dal sistema di istruzione superiore pubblico italiano tra ‘800 e ‘900, pur segnato dai costanti problemi di adattamento alle trasformazioni del Paese. Con l’auspicio che nonostante i nuovi e profondi cambiamenti, le sfide ma anche i rischi oggi in corso, tale ruolo si conservi e si rafforzi ulteriormente nel nuovo millennio.
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Cherubini, D. (a cura di). (2005). Le Università toscane: momenti e figure tra '800 e '900. FIRENZE : Leo S. Olschki.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11365/5561