Manfredo Coltellini è stato, fino ad oggi, inspiegabilmente trascurato da tutta la critica nazionale e da ogni testo sulla storia della ceramica italiana del Novecento. E’ invece opportuno, come vedremo, inserire necessariamente questo artista nella continuità dell’arte italiana del XX secolo, tra le figure più interessanti della ceramica toscana del dopoguerra. Prete estroso ed originale conosceva benissimo la differenza tra la tradizione e il conservatorismo. Sapeva che la memoria storica non creava un influsso retroattivo, era una forza invece positiva. Convinto della coesistenza di tradizione e innovazione, esplorava gli antichi, contemplava i contemporanei, ma poi si esprimeva libero e spontaneo con una fantasia inesauribile, violentando stili e tecniche. Artista e non artigiano, il suo cammino non sarà quindi conforme e lineare ma muterà di continuo, apparentemente contraddittorio, frutto di un’ininterrotta ricerca e di nuove sperimentazioni, mai chiuso all’innovazione, mai confinato nelle pratiche rituali della tradizione, mai insomma provinciale, anche se in provincia ha sempre lavorato. All’inizio degli anni Quaranta risalgono i suoi primi prodotti ceramici e Don Manfredo sapeva che l’Istituto d’Arte di Siena rappresentava, in quegli anni, una realtà importante nel campo artistico, testimone delle radicali trasformazioni del secondo dopoguerra. Pertanto, cercando un dialogo con l’Istituto, conobbe, tra il 1944 e il 1945, Aldo Marzi , pittore ed insegnante in quella scuola, allievo di Umberto Giunti e fratello del più famoso Bruno Marzi. Tra i due nacque una profonda amicizia che dette a Coltellini l’occasione di perfezionarsi soprattutto in pittura. Dalla mano di don Manfredo vennero così alla luce alcuni dipinti che possiamo presumibilmente ricondurre a questo periodo. Sono innanzi tutto i bei paesaggi delle crete e dei poderi senesi, fatti proprio conoscere dai dipinti del Marzi e, probabilmente, anche di Dario Neri, amico del Marzi stesso e che certo Coltellini ben conobbe. Nel 1950 Coltellini partecipa alla VI Mostra Italiana di Arte Sacra per la Casa, all’Angelicum di Milano, e nello stesso anno fu presente anche alla II Mostra Nazionale della Ceramica di Vicenza. La mostra di Vicenza insieme con la Triennale di Arti Decorative a Milano e il concorso faentino, costituivano le rassegne più importanti e interessanti sulla ceramica artistica. Vi partecipavano tutti i grandi nomi del momento, con oggetti destinati all’uso o pezzi unici dalle accezioni esclusivamente estetiche: da Agenore Fabbri ad Angelo Biancini, da Aligi Sassu a Lucio Fontana, da Emilio Scanavino a Leoncillo, oltre a Melandri, Cascella, Meli, etc.. La novità degli anni Cinquanta fu certamente l’esperienza dell’Informale, un momento linguistico fondamentale, che ha coinvolto e rivoluzionato tutte le tecniche artistiche, Coltellini ne fu in parte attratto, interessato soprattutto alla macchia, alle chiazze, alle colate di colore. La casualità e la caoticità dell’informale divertivano l’artista come l’affascinante incertezza delle modificazioni subite dalla materia e dai colori con la cottura in forno. Don Manfredo cercava quindi solo di scoprire nuove tinte, luci e tensioni. Nel frattempo Coltellini si era trasferito a Chiusi, chiamato alla fine del 1954 da monsignor Carlo Baldini, vescovo di quella città, per costituire e dirigere una scuola professionale di ceramica artistica. Un aspetto caratteristico nell’arte dei successivi anni Sessanta fu lo sperimentalismo, che portò gli artisti alla ricerca di nuovi mezzi espressivi. Esperto conoscitore di tutte le applicazioni artistiche, don Manfredo, infatti, trasferì un antico procedimento, peculiare dell’arte orafa, alla ceramica. Nacquero così deliziose composizioni in cloisonné, che consiste nel riempire di smalti piccoli alveoli, delimitati da listelli o fili, dove il colore è utilizzato non solo in funzione decorativa ma soprattutto costruttiva.

Torriti, P. (2013). La Ceramica in Italia. 1940-1970. Manfredo Coltellini. firenze : EDIFIR.

La Ceramica in Italia. 1940-1970. Manfredo Coltellini

TORRITI, PAOLO
2013-01-01

Abstract

Manfredo Coltellini è stato, fino ad oggi, inspiegabilmente trascurato da tutta la critica nazionale e da ogni testo sulla storia della ceramica italiana del Novecento. E’ invece opportuno, come vedremo, inserire necessariamente questo artista nella continuità dell’arte italiana del XX secolo, tra le figure più interessanti della ceramica toscana del dopoguerra. Prete estroso ed originale conosceva benissimo la differenza tra la tradizione e il conservatorismo. Sapeva che la memoria storica non creava un influsso retroattivo, era una forza invece positiva. Convinto della coesistenza di tradizione e innovazione, esplorava gli antichi, contemplava i contemporanei, ma poi si esprimeva libero e spontaneo con una fantasia inesauribile, violentando stili e tecniche. Artista e non artigiano, il suo cammino non sarà quindi conforme e lineare ma muterà di continuo, apparentemente contraddittorio, frutto di un’ininterrotta ricerca e di nuove sperimentazioni, mai chiuso all’innovazione, mai confinato nelle pratiche rituali della tradizione, mai insomma provinciale, anche se in provincia ha sempre lavorato. All’inizio degli anni Quaranta risalgono i suoi primi prodotti ceramici e Don Manfredo sapeva che l’Istituto d’Arte di Siena rappresentava, in quegli anni, una realtà importante nel campo artistico, testimone delle radicali trasformazioni del secondo dopoguerra. Pertanto, cercando un dialogo con l’Istituto, conobbe, tra il 1944 e il 1945, Aldo Marzi , pittore ed insegnante in quella scuola, allievo di Umberto Giunti e fratello del più famoso Bruno Marzi. Tra i due nacque una profonda amicizia che dette a Coltellini l’occasione di perfezionarsi soprattutto in pittura. Dalla mano di don Manfredo vennero così alla luce alcuni dipinti che possiamo presumibilmente ricondurre a questo periodo. Sono innanzi tutto i bei paesaggi delle crete e dei poderi senesi, fatti proprio conoscere dai dipinti del Marzi e, probabilmente, anche di Dario Neri, amico del Marzi stesso e che certo Coltellini ben conobbe. Nel 1950 Coltellini partecipa alla VI Mostra Italiana di Arte Sacra per la Casa, all’Angelicum di Milano, e nello stesso anno fu presente anche alla II Mostra Nazionale della Ceramica di Vicenza. La mostra di Vicenza insieme con la Triennale di Arti Decorative a Milano e il concorso faentino, costituivano le rassegne più importanti e interessanti sulla ceramica artistica. Vi partecipavano tutti i grandi nomi del momento, con oggetti destinati all’uso o pezzi unici dalle accezioni esclusivamente estetiche: da Agenore Fabbri ad Angelo Biancini, da Aligi Sassu a Lucio Fontana, da Emilio Scanavino a Leoncillo, oltre a Melandri, Cascella, Meli, etc.. La novità degli anni Cinquanta fu certamente l’esperienza dell’Informale, un momento linguistico fondamentale, che ha coinvolto e rivoluzionato tutte le tecniche artistiche, Coltellini ne fu in parte attratto, interessato soprattutto alla macchia, alle chiazze, alle colate di colore. La casualità e la caoticità dell’informale divertivano l’artista come l’affascinante incertezza delle modificazioni subite dalla materia e dai colori con la cottura in forno. Don Manfredo cercava quindi solo di scoprire nuove tinte, luci e tensioni. Nel frattempo Coltellini si era trasferito a Chiusi, chiamato alla fine del 1954 da monsignor Carlo Baldini, vescovo di quella città, per costituire e dirigere una scuola professionale di ceramica artistica. Un aspetto caratteristico nell’arte dei successivi anni Sessanta fu lo sperimentalismo, che portò gli artisti alla ricerca di nuovi mezzi espressivi. Esperto conoscitore di tutte le applicazioni artistiche, don Manfredo, infatti, trasferì un antico procedimento, peculiare dell’arte orafa, alla ceramica. Nacquero così deliziose composizioni in cloisonné, che consiste nel riempire di smalti piccoli alveoli, delimitati da listelli o fili, dove il colore è utilizzato non solo in funzione decorativa ma soprattutto costruttiva.
2013
9788879705486
Torriti, P. (2013). La Ceramica in Italia. 1940-1970. Manfredo Coltellini. firenze : EDIFIR.
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