Il saggio evidenzia come sia nell’informazione giornalistica sia nella fiction e nell’intrattenimento la violenza sia uno dei temi più frequenti, forse il più rappresentato in assoluto, come rivelano numerose ricerche in materia. I media mostrano dunque come modalità prevalente (se non unica) di gestione del conflitto, quella violenta, mentre sono assai rari gli esempi di conflitti affrontati in modo costruttivo e pacifico. L’autore sostiene che la violenza non è inevitabile e intrinseca alla natura umana ma in larga misura un problema culturale che può essere trasformato costruttivamente con vantaggio per tutti. A tal riguardo i media mostrano un orientamento ambivalente: a) da un lato, stimolando il relativismo culturale, favoriscono una visione più aperta e costruttiva della realtà e dei rapporti interpersonali e interculturali. b) dall’altro, tendono ad adottare una visione non dissimile da quella finora dominante, secondo la quale la diversità tra identità, punti di vista, interessi porta inevitabilmente a un conflitto risolvibile solo mediante una competizione o uno scontro che decida il prevalere di una parte sull’altra. L’idea che i conflitti possano essere affrontati e risolti in modo costruttivo, non competitivo e nonviolento è alquanto recente, e nella cultura e mentalità dominanti prevale ancora la vecchia idea. Per poter affermare questa nuova concezione è quindi necessaria una vasta operazione di sensibilizzazione culturale, in cui la collaborazione dei media risulta determinante. Non si può più invocare l’alibi secondo cui non compete ai media lo svolgere una funzione pedagogica: di fatto essi già la svolgono, quindi è essenziale che i modelli e le idee che propongono siano costruttivi. Continuare a dare spazio solo o prevalentemente alla vecchia concezione competitiva e aggressiva di gestione delle differenze e dei conflitti non è una scelta neutrale, è già prendere posizione: perché allora, invita l’autore, non prendere posizione per una nuova cultura delle relazioni che si basi sulla gestione costruttiva e pacifica dei conflitti?
Cheli, E. (2004). Il ruolo dei media nella rappresentazione della violenza: pacificatori o amplificatori di conflittualità?. In Comunicazione e nonviolenza (pp. 121-126). FIRENZE : Mediascape.
Il ruolo dei media nella rappresentazione della violenza: pacificatori o amplificatori di conflittualità?
CHELI, ENRICO
2004-01-01
Abstract
Il saggio evidenzia come sia nell’informazione giornalistica sia nella fiction e nell’intrattenimento la violenza sia uno dei temi più frequenti, forse il più rappresentato in assoluto, come rivelano numerose ricerche in materia. I media mostrano dunque come modalità prevalente (se non unica) di gestione del conflitto, quella violenta, mentre sono assai rari gli esempi di conflitti affrontati in modo costruttivo e pacifico. L’autore sostiene che la violenza non è inevitabile e intrinseca alla natura umana ma in larga misura un problema culturale che può essere trasformato costruttivamente con vantaggio per tutti. A tal riguardo i media mostrano un orientamento ambivalente: a) da un lato, stimolando il relativismo culturale, favoriscono una visione più aperta e costruttiva della realtà e dei rapporti interpersonali e interculturali. b) dall’altro, tendono ad adottare una visione non dissimile da quella finora dominante, secondo la quale la diversità tra identità, punti di vista, interessi porta inevitabilmente a un conflitto risolvibile solo mediante una competizione o uno scontro che decida il prevalere di una parte sull’altra. L’idea che i conflitti possano essere affrontati e risolti in modo costruttivo, non competitivo e nonviolento è alquanto recente, e nella cultura e mentalità dominanti prevale ancora la vecchia idea. Per poter affermare questa nuova concezione è quindi necessaria una vasta operazione di sensibilizzazione culturale, in cui la collaborazione dei media risulta determinante. Non si può più invocare l’alibi secondo cui non compete ai media lo svolgere una funzione pedagogica: di fatto essi già la svolgono, quindi è essenziale che i modelli e le idee che propongono siano costruttivi. Continuare a dare spazio solo o prevalentemente alla vecchia concezione competitiva e aggressiva di gestione delle differenze e dei conflitti non è una scelta neutrale, è già prendere posizione: perché allora, invita l’autore, non prendere posizione per una nuova cultura delle relazioni che si basi sulla gestione costruttiva e pacifica dei conflitti?File | Dimensione | Formato | |
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