Il primo paragrafo illustra come nel corso del XX secolo la rappresentazione sociale del lavoro abbia attraversato tre grandi fasi consecutive di trasformazione. La prima è consistita nel passaggio dall'idea che si debba "vivere per lavorare", cioè che il lavoro sia tutto, o quasi, nella vita di una persona, ad una concezione secondo cui nella vita ci sono altre cose importanti oltre al lavoro e che è giusto e utile avere del tempo libero per dedicarvisi. Tuttavia, per quanto utile, il tempo libero da solo non può compensare più di tanto il peso di un lavoro meccanico e poco creativo, che non tiene conto delle aspirazioni e dei talenti della persona, specie se accompagnato da un cattivo clima relazionale. Da qui la seconda, fondamentale trasformazione del lavoro che lo vede non solo come mezzo per guadagnarsi il pane quotidiano, ma anche via per realizzare se stessi. La terza trasformazione è quella che porta a desiderare di lavorare in condizioni di benessere: stare in un ambiente sano, accogliente, stimolante, socialmente gratificante e non conflittuale. Ripercorrendo brevemente lo sviluppo delle scienze dell’organizzazione, da Taylor a Mayo fino al nascere dell’ergonomia, l’autore mostra come l’ambito di interesse di questa disciplina si sia ultimamente ampliato, passando ad occuparsi non solo dell’adattamento delle macchine agli uomini, ma anche della qualità delle relazioni che intercorrono tra i lavoratori e l'ambiente circostante. Oltre all’evidente valore per i lavoratori, il benessere è utile anche al buon funzionamento dell’organizzazione, riducendo sensibilmente le patologie da stress, le sindromi di burnout, e altre disfunzioni meno gravi ma molto più diffuse come ad esempio assenteismo, demotivazione etc. Nel secondo paragrafo - Tendenze controevolutive e fattori di rischio - si mostra come siano attualmente in corso due distinti e contrapposti processi di trasformazione delle condizioni lavorative: uno evolutivo, che punta a migliorare le condizioni di benessere e qualità di vita dei lavoratori, l’altro involutivo, che, a causa della situazione di crisi dell’economia occidentale, tende a far regredire la condizione lavorativa a standard da primo novecento. Sebbene la politica dei tagli e dell’austerità sembri ad alcuni una buona ricetta contro la crisi, essa è in realtà controproducente poiché aumenta enormemente il disagio psicosociale dei lavoratori, che, può interferire col buon funzionamento dell’organizzazione oltre a produrre pericolose patologie da stress. Nel terzo e ultimo paragrafo - Migliorare la qualità di vita: una soluzione che avvantaggia tutti - si sostiene che migliorare il benessere sul lavoro non è un lusso che la crisi attuale ci deve far dimenticare ma anzi una misura che può aiutare sensibilmente a ridurre la crisi percepita: è proprio nei periodi di crisi ed emergenza che le organizzazioni devono rinsaldare i ranghi della coesione interna e puntare ad una maggiore produttività che non pesi sulle retribuzioni. Modifiche alle condizioni ambientali e relazionali di lavoro costano alle organizzazioni molto di meno che incentivi di natura economica alla produttività o il ricorso all’assunzione di nuova forza lavoro, sia pure precaria. Attraverso opportuni interventi formativi è infatti possibile migliorare sensibilmente il clima relazionale all’interno dell’organizzazione e facilitare i processi collaborativi per una maggiore efficacia e efficienza e una migliore qualità della vita. Tali interventi – nella misura in cui affrontano anche il tema della gestione costruttiva dei conflitti - possono tra l’altro contribuire in maniera sensibile a prevenire patologie psicosociali come il burnout e il mobbing, e in certa misura anche lo stress. In tal senso esorbitano dall’ambito strettamente aziendale e chiamano in causa anche le istituzioni sanitarie e le politiche preposte alla salute.
Cheli, E. (2010). Le relazioni interpersonali sul lavoro. In benessere sul lavoro e qualità delle relazioni (pp. 11-34). Roma : ARACNE EDITRICE.
Le relazioni interpersonali sul lavoro
CHELI, ENRICO
2010-01-01
Abstract
Il primo paragrafo illustra come nel corso del XX secolo la rappresentazione sociale del lavoro abbia attraversato tre grandi fasi consecutive di trasformazione. La prima è consistita nel passaggio dall'idea che si debba "vivere per lavorare", cioè che il lavoro sia tutto, o quasi, nella vita di una persona, ad una concezione secondo cui nella vita ci sono altre cose importanti oltre al lavoro e che è giusto e utile avere del tempo libero per dedicarvisi. Tuttavia, per quanto utile, il tempo libero da solo non può compensare più di tanto il peso di un lavoro meccanico e poco creativo, che non tiene conto delle aspirazioni e dei talenti della persona, specie se accompagnato da un cattivo clima relazionale. Da qui la seconda, fondamentale trasformazione del lavoro che lo vede non solo come mezzo per guadagnarsi il pane quotidiano, ma anche via per realizzare se stessi. La terza trasformazione è quella che porta a desiderare di lavorare in condizioni di benessere: stare in un ambiente sano, accogliente, stimolante, socialmente gratificante e non conflittuale. Ripercorrendo brevemente lo sviluppo delle scienze dell’organizzazione, da Taylor a Mayo fino al nascere dell’ergonomia, l’autore mostra come l’ambito di interesse di questa disciplina si sia ultimamente ampliato, passando ad occuparsi non solo dell’adattamento delle macchine agli uomini, ma anche della qualità delle relazioni che intercorrono tra i lavoratori e l'ambiente circostante. Oltre all’evidente valore per i lavoratori, il benessere è utile anche al buon funzionamento dell’organizzazione, riducendo sensibilmente le patologie da stress, le sindromi di burnout, e altre disfunzioni meno gravi ma molto più diffuse come ad esempio assenteismo, demotivazione etc. Nel secondo paragrafo - Tendenze controevolutive e fattori di rischio - si mostra come siano attualmente in corso due distinti e contrapposti processi di trasformazione delle condizioni lavorative: uno evolutivo, che punta a migliorare le condizioni di benessere e qualità di vita dei lavoratori, l’altro involutivo, che, a causa della situazione di crisi dell’economia occidentale, tende a far regredire la condizione lavorativa a standard da primo novecento. Sebbene la politica dei tagli e dell’austerità sembri ad alcuni una buona ricetta contro la crisi, essa è in realtà controproducente poiché aumenta enormemente il disagio psicosociale dei lavoratori, che, può interferire col buon funzionamento dell’organizzazione oltre a produrre pericolose patologie da stress. Nel terzo e ultimo paragrafo - Migliorare la qualità di vita: una soluzione che avvantaggia tutti - si sostiene che migliorare il benessere sul lavoro non è un lusso che la crisi attuale ci deve far dimenticare ma anzi una misura che può aiutare sensibilmente a ridurre la crisi percepita: è proprio nei periodi di crisi ed emergenza che le organizzazioni devono rinsaldare i ranghi della coesione interna e puntare ad una maggiore produttività che non pesi sulle retribuzioni. Modifiche alle condizioni ambientali e relazionali di lavoro costano alle organizzazioni molto di meno che incentivi di natura economica alla produttività o il ricorso all’assunzione di nuova forza lavoro, sia pure precaria. Attraverso opportuni interventi formativi è infatti possibile migliorare sensibilmente il clima relazionale all’interno dell’organizzazione e facilitare i processi collaborativi per una maggiore efficacia e efficienza e una migliore qualità della vita. Tali interventi – nella misura in cui affrontano anche il tema della gestione costruttiva dei conflitti - possono tra l’altro contribuire in maniera sensibile a prevenire patologie psicosociali come il burnout e il mobbing, e in certa misura anche lo stress. In tal senso esorbitano dall’ambito strettamente aziendale e chiamano in causa anche le istituzioni sanitarie e le politiche preposte alla salute.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/11365/20391
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