Nella definizione dei processi formativi delle istituzioni e dei mercati fi-nanziari della tarda età moderna la storiografia tende ad attribuire, a ragione, la parte del leone agli sviluppi della fiscalità dello stato e alla crescita dei mercati delle merci. L’aumento delle necessità di spesa e la correlata evoluzione delle burocrazie fiscali degli stati nazionali, da un lato, e l’aumento dei volumi e dell’estensione delle transazioni, dall’altro, avrebbero dettato i ritmi e i tempi della modernizzazione delle strutture finanziarie europee secondo varianti regionali dipendenti da fattori istituzionali, regolativi, economici in senso stretto. L’innovazione dei sistemi e dei mercati finanziari sarebbe, in altri termini, l’esito di crescenti pressioni esercitate dalla mutata domanda di mezzi di pagamento e strumenti di credito, una domanda peraltro rafforzata dalle successive trasformazioni strutturali connesse all’industrializzazione. Nelle aree economiche europee segnate da una crescente specializzazione internazionale nei prodotti primari o in particolari semilavorati – così fu per l’Italia settentrionale settecentesca in relazione soprattutto alle produzioni seriche – la tensione avvertita sui mercati della terra e sui mercati dei prodotti dell’agricoltura dovette tuttavia esercitare un discreto impulso sui mutamenti di assetti e regole dei sistemi monetari e, più in particolare, dei mercati del credito. Nonostante i vincoli istituzionali e sociali che limitavano la mobilità della terra, la proprietà fondiaria costituiva, per molte ragioni, un fattore centrale di accesso al mercato del credito. La terra si configurava in effetti, generalmente, quale garanzia reale principale che permetteva ai proprietari maggiori e minori di contrarre debito, sia a fini di investimento volto ad accrescere la redditività dei fondi, sia di fronte alla necessità di superare particolari e contingenti emergenze (derivanti essenzialmente dall’irregolarità e dall’incertezza della produzione primaria), sia infine per alimentare consumi cospicui superiori ai redditi correnti. In questa sede si propone una lettura dei mutamenti che si registrarono durante il Settecento nei mercati e nelle regole che connettevano terra e credito nelle regioni dell’Italia settentrionale. Si tratta di aree economicamente non omogenee, divise tra distinte entità statuali, separate da sistemi normativi differenziati. La comparazione tra aree deve quindi tenere conto di una pluralità di fattori distintivi: dai differenti quadri normativi e fiscali agli assetti della proprietà fondiaria, dai sistemi di conduzione ai livelli di specializzazione produttiva, dai diversi gradi di sviluppo ai livelli di mercantilizzazione delle varie agricolture. La parziale, ma senz’altro significativa, sovrapposizione del mercato del credito con il mercato della terra fu un elemento di consolidamento delle pratiche di debito e credito imperniate sull’uso dei fondi come garanzia, dell’affinamento e della diffusione degli strumenti di credito che facevano leva sulla terra, della lenta sedimentazione della fiducia necessaria ad assicurare regolarità e continuità ai circuiti creditizi. In particolare, a differenza dei mercati del credito più sofisticati connessi ai circuiti mercantili, i rapporti di credito garantiti dalla terra permettevano di estendere i processi di apprendimento dei meccanismi di mercato e di sperimentazione degli strumenti di credito alla dimensione propria delle comunità locali, offrendo la possibilità di sviluppare capacità di valutazione dei prezzi e di ponderazione dei rischi, l’opportunità di affinare razionalità di calcolo nei comportamenti economici di rilevanti segmenti dei mercati di antico regime.

Piluso, G. (2004). Terra e credito nell'Italia settentrionale del Settecento: mercati, istituzioni e strumenti in una prospettiva comparativa. In Il mercato della terra. Secc. XIII-XVIII (pp. 743-764). Firenze : Le Monnier-Istituto Internazionale di Storia economica F. Datini.

Terra e credito nell'Italia settentrionale del Settecento: mercati, istituzioni e strumenti in una prospettiva comparativa

PILUSO, GIANDOMENICO
2004-01-01

Abstract

Nella definizione dei processi formativi delle istituzioni e dei mercati fi-nanziari della tarda età moderna la storiografia tende ad attribuire, a ragione, la parte del leone agli sviluppi della fiscalità dello stato e alla crescita dei mercati delle merci. L’aumento delle necessità di spesa e la correlata evoluzione delle burocrazie fiscali degli stati nazionali, da un lato, e l’aumento dei volumi e dell’estensione delle transazioni, dall’altro, avrebbero dettato i ritmi e i tempi della modernizzazione delle strutture finanziarie europee secondo varianti regionali dipendenti da fattori istituzionali, regolativi, economici in senso stretto. L’innovazione dei sistemi e dei mercati finanziari sarebbe, in altri termini, l’esito di crescenti pressioni esercitate dalla mutata domanda di mezzi di pagamento e strumenti di credito, una domanda peraltro rafforzata dalle successive trasformazioni strutturali connesse all’industrializzazione. Nelle aree economiche europee segnate da una crescente specializzazione internazionale nei prodotti primari o in particolari semilavorati – così fu per l’Italia settentrionale settecentesca in relazione soprattutto alle produzioni seriche – la tensione avvertita sui mercati della terra e sui mercati dei prodotti dell’agricoltura dovette tuttavia esercitare un discreto impulso sui mutamenti di assetti e regole dei sistemi monetari e, più in particolare, dei mercati del credito. Nonostante i vincoli istituzionali e sociali che limitavano la mobilità della terra, la proprietà fondiaria costituiva, per molte ragioni, un fattore centrale di accesso al mercato del credito. La terra si configurava in effetti, generalmente, quale garanzia reale principale che permetteva ai proprietari maggiori e minori di contrarre debito, sia a fini di investimento volto ad accrescere la redditività dei fondi, sia di fronte alla necessità di superare particolari e contingenti emergenze (derivanti essenzialmente dall’irregolarità e dall’incertezza della produzione primaria), sia infine per alimentare consumi cospicui superiori ai redditi correnti. In questa sede si propone una lettura dei mutamenti che si registrarono durante il Settecento nei mercati e nelle regole che connettevano terra e credito nelle regioni dell’Italia settentrionale. Si tratta di aree economicamente non omogenee, divise tra distinte entità statuali, separate da sistemi normativi differenziati. La comparazione tra aree deve quindi tenere conto di una pluralità di fattori distintivi: dai differenti quadri normativi e fiscali agli assetti della proprietà fondiaria, dai sistemi di conduzione ai livelli di specializzazione produttiva, dai diversi gradi di sviluppo ai livelli di mercantilizzazione delle varie agricolture. La parziale, ma senz’altro significativa, sovrapposizione del mercato del credito con il mercato della terra fu un elemento di consolidamento delle pratiche di debito e credito imperniate sull’uso dei fondi come garanzia, dell’affinamento e della diffusione degli strumenti di credito che facevano leva sulla terra, della lenta sedimentazione della fiducia necessaria ad assicurare regolarità e continuità ai circuiti creditizi. In particolare, a differenza dei mercati del credito più sofisticati connessi ai circuiti mercantili, i rapporti di credito garantiti dalla terra permettevano di estendere i processi di apprendimento dei meccanismi di mercato e di sperimentazione degli strumenti di credito alla dimensione propria delle comunità locali, offrendo la possibilità di sviluppare capacità di valutazione dei prezzi e di ponderazione dei rischi, l’opportunità di affinare razionalità di calcolo nei comportamenti economici di rilevanti segmenti dei mercati di antico regime.
2004
9788800722360
Piluso, G. (2004). Terra e credito nell'Italia settentrionale del Settecento: mercati, istituzioni e strumenti in una prospettiva comparativa. In Il mercato della terra. Secc. XIII-XVIII (pp. 743-764). Firenze : Le Monnier-Istituto Internazionale di Storia economica F. Datini.
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