Il saggio evidenzia in premessa come la concezione sinora dominante nelle scienze – improntata sul paradigma meccanicistico riduzionista – abbia teso a considerare la ricerca e l’etica come campi distinti e indipendenti, e così pure la conoscenza e la politica o i fini e i mezzi; in base a tale concezione lo scienziato dovrebbe perseguire essenzialmente scopi conoscitivi e lasciare ad altri le scelte (e i dubbi) circa l’utilizzo delle sue scoperte e le conseguenze che esso può comportare. Nella visione olistica emergente invece, evidenzia l’autore, le suddette dimensioni vengono considerate interconnesse e la ricerca non è ritenuta quasi mai neutrale e fine a se stessa ma anzi fin dall’inizio orientata verso determinati fini esterni, siano essi espliciti o impliciti, consapevoli o in ombra. Pertanto lo scienziato non solo non può defilarsi ma è anzi chiamato a prendere coscienza e responsabilità delle implicazioni etiche della propria attività e a schierarsi, dichiarando apertamente le finalità che la sua attività di ricerca persegue. Applicando questo punto di vista allo studio dei conflitti - da quelli macrosociali a quelli microsociali – significa non solo studiarli per pure finalità conoscitive ma anche per contribuire ad una loro trasformazione, da distruttivi a costruttivi. Ciò premesso vengono evidenziati alcuni aspetti salienti. Il primo è il ruolo che nella genesi dei conflitti svolge la cattiva o assente comunicazione e di converso il ruolo che può svolgere nella loro risoluzione la buona comunicazione. Il secondo punto che viene affrontato è la stretta connessione tra i conflitti macrosociali e microsociali. Anche se le guerre sono scontri tra popoli e stati, esse traggono alimento – questa è la tesi dell’autore - dalle mille e mille piccole guerre, manifeste o sotterranee, che le persone, i gruppi e le classi sociali combattono quasi ogni giorno: nel traffico, sul lavoro, in famiglia, nello sport, in politica, perfino dentro se stessi. Il terzo punto mette in luce come i cattivi rapporti con gli altri siano anche il riflesso di cattivi rapporti con se stessi. Per sostenere questo punto l’autore parte da alcune teorie di psicologia del profondo che mostrano la personalità come un insieme di sub-personalità, ciascuna delle quali desidera il soddisfacimento dei suoi specifici bisogni . Alcune di queste sub-personalità sono ben viste dalla nostra cultura e società mentre altre vengono giudicate negativamente e quindi esiliate nell'inconscio. Ciò determina conseguenze molto simili a quelle evidenziate, a livello macrosociale, dalla teoria del conflitto sociale: così come avviene per gli individui e le classi prevaricate, le sub-personalità rinnegate e relegate nell'inconscio non ci stanno a farsi tagliare fuori e faranno di tutto per ottenere attenzione e soddisfazione fomentando il conflitto dentro di noi e, per riflesso, anche fuori di noi. Un quarto punto riguarda i modelli culturali limitanti che ostacolano la risoluzione costruttiva dei conflitti, in primis la credenza - diffusa in quasi tutte le culture del pianeta – secondo cui la diversità è una inevitabile fonte di antagonismo. L’approccio olistico vede invece la differenza non come antagonismo ma quale complementarità potenziale. Un ulteriore pregiudizio culturale esaminato, connesso a quello appena illustrato, è la credenza che si possano soddisfare i propri bisogni solo penalizzando qualcun altro. L’autore rileva come questo modo di vedere sia stato definito dalla “teoria dei giochi” come gioco a somma zero e come vi siano altri tipi di gioco a somma variabile che permettono di alzare i guadagni di ognuno e giungere al contempo ad una più soddisfacente gestione del conflitto. Il saggio si sofferma infine su cosa significhi intervenire in modo olistico sui conflitti e sulla necessità di una maggiore collaborazione in ambito scientifico e interpersonale.

Cheli, E. (2003). Verso un approccio olistico al tema dei conflitti. In La comunicazione come antidoto ai conflitti (pp. 15-33). CAGLIARI : Punto di fuga.

Verso un approccio olistico al tema dei conflitti

CHELI, ENRICO
2003-01-01

Abstract

Il saggio evidenzia in premessa come la concezione sinora dominante nelle scienze – improntata sul paradigma meccanicistico riduzionista – abbia teso a considerare la ricerca e l’etica come campi distinti e indipendenti, e così pure la conoscenza e la politica o i fini e i mezzi; in base a tale concezione lo scienziato dovrebbe perseguire essenzialmente scopi conoscitivi e lasciare ad altri le scelte (e i dubbi) circa l’utilizzo delle sue scoperte e le conseguenze che esso può comportare. Nella visione olistica emergente invece, evidenzia l’autore, le suddette dimensioni vengono considerate interconnesse e la ricerca non è ritenuta quasi mai neutrale e fine a se stessa ma anzi fin dall’inizio orientata verso determinati fini esterni, siano essi espliciti o impliciti, consapevoli o in ombra. Pertanto lo scienziato non solo non può defilarsi ma è anzi chiamato a prendere coscienza e responsabilità delle implicazioni etiche della propria attività e a schierarsi, dichiarando apertamente le finalità che la sua attività di ricerca persegue. Applicando questo punto di vista allo studio dei conflitti - da quelli macrosociali a quelli microsociali – significa non solo studiarli per pure finalità conoscitive ma anche per contribuire ad una loro trasformazione, da distruttivi a costruttivi. Ciò premesso vengono evidenziati alcuni aspetti salienti. Il primo è il ruolo che nella genesi dei conflitti svolge la cattiva o assente comunicazione e di converso il ruolo che può svolgere nella loro risoluzione la buona comunicazione. Il secondo punto che viene affrontato è la stretta connessione tra i conflitti macrosociali e microsociali. Anche se le guerre sono scontri tra popoli e stati, esse traggono alimento – questa è la tesi dell’autore - dalle mille e mille piccole guerre, manifeste o sotterranee, che le persone, i gruppi e le classi sociali combattono quasi ogni giorno: nel traffico, sul lavoro, in famiglia, nello sport, in politica, perfino dentro se stessi. Il terzo punto mette in luce come i cattivi rapporti con gli altri siano anche il riflesso di cattivi rapporti con se stessi. Per sostenere questo punto l’autore parte da alcune teorie di psicologia del profondo che mostrano la personalità come un insieme di sub-personalità, ciascuna delle quali desidera il soddisfacimento dei suoi specifici bisogni . Alcune di queste sub-personalità sono ben viste dalla nostra cultura e società mentre altre vengono giudicate negativamente e quindi esiliate nell'inconscio. Ciò determina conseguenze molto simili a quelle evidenziate, a livello macrosociale, dalla teoria del conflitto sociale: così come avviene per gli individui e le classi prevaricate, le sub-personalità rinnegate e relegate nell'inconscio non ci stanno a farsi tagliare fuori e faranno di tutto per ottenere attenzione e soddisfazione fomentando il conflitto dentro di noi e, per riflesso, anche fuori di noi. Un quarto punto riguarda i modelli culturali limitanti che ostacolano la risoluzione costruttiva dei conflitti, in primis la credenza - diffusa in quasi tutte le culture del pianeta – secondo cui la diversità è una inevitabile fonte di antagonismo. L’approccio olistico vede invece la differenza non come antagonismo ma quale complementarità potenziale. Un ulteriore pregiudizio culturale esaminato, connesso a quello appena illustrato, è la credenza che si possano soddisfare i propri bisogni solo penalizzando qualcun altro. L’autore rileva come questo modo di vedere sia stato definito dalla “teoria dei giochi” come gioco a somma zero e come vi siano altri tipi di gioco a somma variabile che permettono di alzare i guadagni di ognuno e giungere al contempo ad una più soddisfacente gestione del conflitto. Il saggio si sofferma infine su cosa significhi intervenire in modo olistico sui conflitti e sulla necessità di una maggiore collaborazione in ambito scientifico e interpersonale.
2003
9788887239218
Cheli, E. (2003). Verso un approccio olistico al tema dei conflitti. In La comunicazione come antidoto ai conflitti (pp. 15-33). CAGLIARI : Punto di fuga.
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