Nel tardo Medioevo i “poveri laboriosi” erano individui che, nonostante disponessero di un qualche impiego, vivevano, strutturalmente o periodicamente, in condizioni di povertà a causa di redditi insufficienti in rapporto ai bisogni. Il saggio, dopo avere cercato di tracciare il profilo di questi uomini e donne, si concentra sulle forme di assistenza di cui potevano beneficiare nei secoli XIV-XV utilizzando soprattutto documentazione delle città toscane, ma con aperture verso altre regioni della Penisola. L’indagine muove dall’intervento assistenziale delle Corporazioni nelle quali essi erano inquadrati a vario titolo, si sposta poi sugli altri istituti in grado di soccorrerli (“ceppi”, ospedali, confraternite ed enti elemosinieri vari nati per iniziativa dei laici) e infine sugli organismi che, soprattutto dopo la metà del Trecento, vennero creati dagli stessi lavoratori. L’indagine mostra come la consapevolezza della necessità di accogliere nel novero dei pauperes anche chi era più o meno stabilmente inserito nel mondo del lavoro si sia affermata, nell’opinione pubblica, solo lentamente e principalmente in relazione alla categoria dei maestri di bottega. In questo sistema di welfare “integrato”, infatti, i lavoratori dipendenti rimasero la categoria meno protetta, ignorati com’erano dalla solidarietà delle Arti, a lungo estromessi dalla possibilità di formare confraternite proprie e soprattutto poco presenti, in rapporto ai loro datori di lavoro, fra gli assistiti degli altri enti elemosinieri.
Franceschi, F. (2020). Forme di assistenza ai “poveri laboriosi” nell’Italia dei secoli XIV e XV. In G. Piccinni (a cura di), Alle origini del welfare: radici medievali e moderne della cultura europea dell’assistenza (pp. 351-375). Roma : Viella.
Forme di assistenza ai “poveri laboriosi” nell’Italia dei secoli XIV e XV
Franceschi, Franco
2020-01-01
Abstract
Nel tardo Medioevo i “poveri laboriosi” erano individui che, nonostante disponessero di un qualche impiego, vivevano, strutturalmente o periodicamente, in condizioni di povertà a causa di redditi insufficienti in rapporto ai bisogni. Il saggio, dopo avere cercato di tracciare il profilo di questi uomini e donne, si concentra sulle forme di assistenza di cui potevano beneficiare nei secoli XIV-XV utilizzando soprattutto documentazione delle città toscane, ma con aperture verso altre regioni della Penisola. L’indagine muove dall’intervento assistenziale delle Corporazioni nelle quali essi erano inquadrati a vario titolo, si sposta poi sugli altri istituti in grado di soccorrerli (“ceppi”, ospedali, confraternite ed enti elemosinieri vari nati per iniziativa dei laici) e infine sugli organismi che, soprattutto dopo la metà del Trecento, vennero creati dagli stessi lavoratori. L’indagine mostra come la consapevolezza della necessità di accogliere nel novero dei pauperes anche chi era più o meno stabilmente inserito nel mondo del lavoro si sia affermata, nell’opinione pubblica, solo lentamente e principalmente in relazione alla categoria dei maestri di bottega. In questo sistema di welfare “integrato”, infatti, i lavoratori dipendenti rimasero la categoria meno protetta, ignorati com’erano dalla solidarietà delle Arti, a lungo estromessi dalla possibilità di formare confraternite proprie e soprattutto poco presenti, in rapporto ai loro datori di lavoro, fra gli assistiti degli altri enti elemosinieri.File | Dimensione | Formato | |
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