La mostra fiorentina del 1967 "Arte moderna in Italia 1915-1935" curata da C.L. Ragghianti costituisce un momento fondamentale per la riconsiderazione critica e storiografica dell’arte prodotta durante il ventennio fascista, tanto più in quanto attuata non nel limitato ambito degli “addetti ai lavori” ma attraverso un evento di larga visibilità pubblica quale una grande esposizione. È la prima volta che si tenta di dare una risposta diretta e non viziata al perché, secondo le parole di Ragghianti, “un passato al quale siamo così strettamente connessi si sia tanto allontanato dalla presenza e dalla memoria, sino a diventare dimenticato, a non intervenire nella coscienza critica”; e proprio per fornire un adeguato terreno di studio per futuri approfondimenti critici, le scelte espositive dello studioso lucchese e dei suoi collaboratori avvennero all’insegna di un “censimento catalogico, il più vasto e capillare possibile”. Un taglio orizzontale e antologizzante che, com’è ovvio, non escluse precise posizioni critiche, come emerge sia dai testi direttamente connessi alla mostra (il saggio di Ragghianti in catalogo, la risposta di Monti alle inevitabili critiche) sia dalle modalità di allestimento della mostra stessa che assumono particolare significato nella concezione di Ragghianti, il quale auspicava una mostra “autosufficiente e non bisognosa di commenti o di estensioni parlate; una mostra in cui le opere artistiche, da una posizione passiva od intransitiva, nei riguardi degli spettatori, passino ad una posizione e funzione transitiva e comunicativa, rendendo il più possibile piena la loro autonoma significazione”. Il saggio indaga, dal punto di vista per molti versi privilegiato delle esposizioni, l’evoluzione della considerazione (e della più vasta percezione) dell’arte prodotta in epoca fascista nei quindici anni che separano la mostra fiorentina dalla megamostra “Gli Annitrenta” a Milano nel 1982, attraverso la lettura incrociata di scelte espositive, modalità allestitive e ricezione critica.
Quattrocchi, L. (2020). Ripensare l'arte del ventennio fascista: scelte espositive, allestimenti e ricezioni critiche. Dalla mostra fiorentina del 1967 a "Gli Annitrenta" a Milano nel 1982. In P. Bolpagni, M. Patti (a cura di), Carlo Ludovico Ragghianti e l'arte in Italia tra le due guerre. Nuove ricerche intorno e a partire dalla mostra del 1967 "Arte moderna in Italia 1915-1935" (pp. 33-44). Lucca : Fondazione Ragghianti Studi sull'arte.
Ripensare l'arte del ventennio fascista: scelte espositive, allestimenti e ricezioni critiche. Dalla mostra fiorentina del 1967 a "Gli Annitrenta" a Milano nel 1982
Luca Quattrocchi
2020-01-01
Abstract
La mostra fiorentina del 1967 "Arte moderna in Italia 1915-1935" curata da C.L. Ragghianti costituisce un momento fondamentale per la riconsiderazione critica e storiografica dell’arte prodotta durante il ventennio fascista, tanto più in quanto attuata non nel limitato ambito degli “addetti ai lavori” ma attraverso un evento di larga visibilità pubblica quale una grande esposizione. È la prima volta che si tenta di dare una risposta diretta e non viziata al perché, secondo le parole di Ragghianti, “un passato al quale siamo così strettamente connessi si sia tanto allontanato dalla presenza e dalla memoria, sino a diventare dimenticato, a non intervenire nella coscienza critica”; e proprio per fornire un adeguato terreno di studio per futuri approfondimenti critici, le scelte espositive dello studioso lucchese e dei suoi collaboratori avvennero all’insegna di un “censimento catalogico, il più vasto e capillare possibile”. Un taglio orizzontale e antologizzante che, com’è ovvio, non escluse precise posizioni critiche, come emerge sia dai testi direttamente connessi alla mostra (il saggio di Ragghianti in catalogo, la risposta di Monti alle inevitabili critiche) sia dalle modalità di allestimento della mostra stessa che assumono particolare significato nella concezione di Ragghianti, il quale auspicava una mostra “autosufficiente e non bisognosa di commenti o di estensioni parlate; una mostra in cui le opere artistiche, da una posizione passiva od intransitiva, nei riguardi degli spettatori, passino ad una posizione e funzione transitiva e comunicativa, rendendo il più possibile piena la loro autonoma significazione”. Il saggio indaga, dal punto di vista per molti versi privilegiato delle esposizioni, l’evoluzione della considerazione (e della più vasta percezione) dell’arte prodotta in epoca fascista nei quindici anni che separano la mostra fiorentina dalla megamostra “Gli Annitrenta” a Milano nel 1982, attraverso la lettura incrociata di scelte espositive, modalità allestitive e ricezione critica.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/11365/1122194