Il volume è il n° 6 della collana "Le parole dell'italiano", a cura di Giuseppe Antonelli. Dalla Presentazione di Antonelli: Dopo il primo ciclo di cinque titoli dedicato al rapporto tra Le parole e il tempo, il secondo ciclo – Le parole e l’etimo – non poteva che aprirsi con un volume dedicato ai latinismi. È nozione quasi intuitiva, infatti, che una gran parte delle parole italiane ha un etimo latino. Ma la lingua italiana non deve fare i conti solo con quella che è stata chiamata «latinità di natura», cioè la derivazione diretta dalla lingua madre. Una parte molto importante si deve anche alla «latinità di cultura»: l’influenza ininterrotta che il prestigio del latino ha avuto sull’evoluzione della nostra lingua. Proprio quella che, fin dai primi secoli, ha dato vita ai vocaboli che chiamiamo «latinismi». Parole – cioè – che sono giunte all’italiano non per la strada diretta dell’ininterrotto uso parlato popolare, ma attraverso l’uso scritto o libresco.Alessio Ricci è molto chiaro: «i parlanti italiani di oggi sono accerchiati da una vera e propria “orda” di latinismi». Alcune parole e locuzioni latine hanno conservato la loro forma originaria e sono perciò facilmente riconoscibili. Come quelle che si ritrovano nel giocoso testo di una canzone dei primi anni Sessanta, Passione latina di Franco Nebbia (meglio nota come Vademecum tango): «Mutatis mutandis absit iniuria verbis / temporibus illis obtorto collo... tango! / Ubi maior minor cessat talis pater talis filius / motu proprio ad maiora / ahi, vademecum tango, ad usum Delphini». Che me ne faccio del latino?, cantava qualche anno dopo un giovanissimo Gianni Morandi («Che me ne faccio del latino / Se devo dire pane al pane / Se devo dire vino al vino»), ignorando quello che potremmo definire «il nostro latino quotidiano». Perché sono davvero moltissimi, come ricorda Ricci, i casi in cui ci troviamo a usare «parole nei nostri discorsi quotidiani o nei testi scritti (perlopiù digitali) senza renderci conto che stiamo ricorrendo a prestiti dal latino». Ad esempio la parola "via" per indicare un attraversamento o un tramite («un volo Roma-Sydney via Francoforte», «un collegamento via satellite») o espressioni come "grosso modo" e "viceversa", "eccetera" e "in calce", "alibi" e "agenda". E poi moltissimi vocaboli che appartengono al nostro lessico fondamentale: "educare", "tradurre", "evitare", "causa", "pagina", "facile"; vocaboli di cui Ricci ricostruisce qui, con bel passo narrativo, le varie vicende. Tra scoperte e riscoperte, il suo libro ci accompagna in una piacevole passeggiata attraverso il tempo e lo spazio. Dai latinismi di Dante e di Leopardi, a quelli – nati come scherzosi – della politica recente: Mattarellum, Tatarellum, Rosatellum; dai latinismi inventati in Italia come "pro loco" o "una tantum" a quelli importati da altre lingue: "album", "curriculum", "referendum" o "media".

Ricci, A. (2020). Latinismi. Milano : RCS MediaGroup S.p.A..

Latinismi

Ricci Alessio
2020-01-01

Abstract

Il volume è il n° 6 della collana "Le parole dell'italiano", a cura di Giuseppe Antonelli. Dalla Presentazione di Antonelli: Dopo il primo ciclo di cinque titoli dedicato al rapporto tra Le parole e il tempo, il secondo ciclo – Le parole e l’etimo – non poteva che aprirsi con un volume dedicato ai latinismi. È nozione quasi intuitiva, infatti, che una gran parte delle parole italiane ha un etimo latino. Ma la lingua italiana non deve fare i conti solo con quella che è stata chiamata «latinità di natura», cioè la derivazione diretta dalla lingua madre. Una parte molto importante si deve anche alla «latinità di cultura»: l’influenza ininterrotta che il prestigio del latino ha avuto sull’evoluzione della nostra lingua. Proprio quella che, fin dai primi secoli, ha dato vita ai vocaboli che chiamiamo «latinismi». Parole – cioè – che sono giunte all’italiano non per la strada diretta dell’ininterrotto uso parlato popolare, ma attraverso l’uso scritto o libresco.Alessio Ricci è molto chiaro: «i parlanti italiani di oggi sono accerchiati da una vera e propria “orda” di latinismi». Alcune parole e locuzioni latine hanno conservato la loro forma originaria e sono perciò facilmente riconoscibili. Come quelle che si ritrovano nel giocoso testo di una canzone dei primi anni Sessanta, Passione latina di Franco Nebbia (meglio nota come Vademecum tango): «Mutatis mutandis absit iniuria verbis / temporibus illis obtorto collo... tango! / Ubi maior minor cessat talis pater talis filius / motu proprio ad maiora / ahi, vademecum tango, ad usum Delphini». Che me ne faccio del latino?, cantava qualche anno dopo un giovanissimo Gianni Morandi («Che me ne faccio del latino / Se devo dire pane al pane / Se devo dire vino al vino»), ignorando quello che potremmo definire «il nostro latino quotidiano». Perché sono davvero moltissimi, come ricorda Ricci, i casi in cui ci troviamo a usare «parole nei nostri discorsi quotidiani o nei testi scritti (perlopiù digitali) senza renderci conto che stiamo ricorrendo a prestiti dal latino». Ad esempio la parola "via" per indicare un attraversamento o un tramite («un volo Roma-Sydney via Francoforte», «un collegamento via satellite») o espressioni come "grosso modo" e "viceversa", "eccetera" e "in calce", "alibi" e "agenda". E poi moltissimi vocaboli che appartengono al nostro lessico fondamentale: "educare", "tradurre", "evitare", "causa", "pagina", "facile"; vocaboli di cui Ricci ricostruisce qui, con bel passo narrativo, le varie vicende. Tra scoperte e riscoperte, il suo libro ci accompagna in una piacevole passeggiata attraverso il tempo e lo spazio. Dai latinismi di Dante e di Leopardi, a quelli – nati come scherzosi – della politica recente: Mattarellum, Tatarellum, Rosatellum; dai latinismi inventati in Italia come "pro loco" o "una tantum" a quelli importati da altre lingue: "album", "curriculum", "referendum" o "media".
2020
Ricci, A. (2020). Latinismi. Milano : RCS MediaGroup S.p.A..
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11365/1096718