Il saggio ricostruisce, nella prima parte, l'evoluzione dell'architettura carceraria a partire dal celebre Panopticon di Bentham (1786), e riflette su come il tema del controllo sia oggi parte integrante della città contemporanea travalicando i tradizionali confini che definivano il carcere come un luogo "altro". Oggi difatti siamo noi stessi a offrirci spontaneamente come elementi da sorvegliare e a fornire tutte le informazioni utili circa i nostri movimenti, i nostri spostamenti, i nostri orari, i nostri gusti e i nostri modi di vita, prigionieri volontari ed entusiasti di una ubiqua rete digitale dove le coordinate spazio-temporali sono tanto mobili quanto micidialmente monitorate e registrate. Questa inquietante situazione non può, ovviamente, non sollecitare la ricerca artistica contemporanea, ed è in particolare la video arte, proprio per la sua natura di sguardo mobile, che appare come il medium più adatto a relazionarsi con la città panottica e a intercettarne, criticamente e creativamente, le complesse strategie. La seconda parte del saggio infatti analizza le opere video più significative relativamente al tema della sorveglianza e del controllo, dalle pioneristiche sperimentazioni di fine anni Sessanta ai lavori degli ultimi anni, da Farocki a Zmijewski, da Fiona Tan a Dora García, da Fast a Raad, solo per citare alcuni degli artisti trattati nell’articolo.

Quattrocchi, L. (2017). La città panottica. Strategie di controllo e pratiche artistiche. In H. Hanru, L. Lonardelli (a cura di), Please come back. Il mondo come prigione? The World as Prison? (pp. 43-59). Milano : Mousse Publishing.

La città panottica. Strategie di controllo e pratiche artistiche

Quattrocchi, Luca
2017-01-01

Abstract

Il saggio ricostruisce, nella prima parte, l'evoluzione dell'architettura carceraria a partire dal celebre Panopticon di Bentham (1786), e riflette su come il tema del controllo sia oggi parte integrante della città contemporanea travalicando i tradizionali confini che definivano il carcere come un luogo "altro". Oggi difatti siamo noi stessi a offrirci spontaneamente come elementi da sorvegliare e a fornire tutte le informazioni utili circa i nostri movimenti, i nostri spostamenti, i nostri orari, i nostri gusti e i nostri modi di vita, prigionieri volontari ed entusiasti di una ubiqua rete digitale dove le coordinate spazio-temporali sono tanto mobili quanto micidialmente monitorate e registrate. Questa inquietante situazione non può, ovviamente, non sollecitare la ricerca artistica contemporanea, ed è in particolare la video arte, proprio per la sua natura di sguardo mobile, che appare come il medium più adatto a relazionarsi con la città panottica e a intercettarne, criticamente e creativamente, le complesse strategie. La seconda parte del saggio infatti analizza le opere video più significative relativamente al tema della sorveglianza e del controllo, dalle pioneristiche sperimentazioni di fine anni Sessanta ai lavori degli ultimi anni, da Farocki a Zmijewski, da Fiona Tan a Dora García, da Fast a Raad, solo per citare alcuni degli artisti trattati nell’articolo.
2017
978-88-6749-263-3
Quattrocchi, L. (2017). La città panottica. Strategie di controllo e pratiche artistiche. In H. Hanru, L. Lonardelli (a cura di), Please come back. Il mondo come prigione? The World as Prison? (pp. 43-59). Milano : Mousse Publishing.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11365/1020433