Piero Calamandrei, Guido Zanobini e il filosofo del diritto Alessandro Bonucci furono i docenti della Facoltà senese che, assieme al magistero di Federico Cammeo, più influirono sulla formazione giuridica di Mario Bracci, come mostra anche la prima monografia di B. su "La proposta in diritto amministrativo" (1925). Questo libro incompiuto va ricordato nella storia della letteratura giuridica italiana tra le due guerre, perché la definizione della proposta come manifestazione di volontà potenziale o di desiderio giuridico risultò dominante nella dottrina italiana degli anni Trenta. E il suo impianto concettuale e lessicale è a fondamento anche della monografia "Dell'atto complesso in diritto amministrativo" (1927): nell’ottica della volontà i saggi di B. risultano definitivi (assieme ad essi, assai ricordato anche il saggio su "L'atto amministrativo inoppugnabile ed i limiti dell'esame del giudice civile", 1933). Accanto a scritti di pura dogmatica, B. pubblica in quegli anni anche studi giuridici che testimoniano le sue convinzioni ideali e politiche. Nel 1925 esce a Roma un libro su "Le pensioni di guerra", che a dispetto dell'apparente specialità del tema risulta un saggio canonico di teoria generale del diritto amministrativo (il primo a concepire la pensione di guerra come l’attribuzione del principio della responsabilità oggettiva dello Stato e la pensione stessa come un risarcimento del danno) e al contempo un argomento di vivissima attualità politica e sociale, perché le sue pagine divengono anche una rievocazione del duro scontro politico avvenuto nei primi mesi del 1923 tra il governo fascista e i combattenti e i mutilati, quell'“Italia di Vittorio Veneto” che esso sosteneva di aver condotto alla guida del Paese. Di notevole rilievo anche il libro del 1931 "Italia, S. Sede e Città del Vaticano" (1931), penetrante analisi giuridica svolta all'indomani dei Patti Lateranensi sul piano della teoria generale dello Stato, dei principi generali del diritto costituzionale e del diritto internazionale e fedele alla tradizione politica liberale. B. rifiuta alla Città del Vaticano la natura di soggetto di diritto internazionale per riconoscerla alla Santa Sede, mentre nega ad entrambe quella di Stato ed afferma di conseguenza la permanenza dell'“unità intangibile dello Stato italiano”. Nel 1927, B. aveva pubblicato una nota sulla "Correzione degli errori delle sentenze", un lavoro importante soprattutto perché interviene nel largo dibattito sulle fonti del diritto, sull'antica dicotomia tra equità e principi di legalità e di certezza del diritto, riaccesosi nei primi anni Venti dinanzi alla moltiplicazione delle giurisdizioni di equità durante la Grande Guerra. B. manifesta la propria fermissima fede in quei principi; e il valore della certezza del diritto rimane una nota costante dei suoi lavori durante l'intero ventennio tra le due guerre. Nel 1935 scriverà che “giuridicamente la libertà è sopra tutto certezza del diritto” ("Riflessioni sui profili pubblicisti del sequestro giudiziario", 1935) e il principio della certezza del diritto ispirerà anche l'ultimo scritto di quel periodo, il saggio del 1941 su "Le questioni e i conflitti di giurisdizione e di attribuzioni nel nuovo codice di procedura civile". Lo scritto appare un minuzioso e puntuale sforzo ermeneutico imposto dall'inserimento materiale nel codice delle vecchie norme della legge del 1877 sui conflitti di attribuzione e di giurisdizione, ma anche una difesa tenace dei principi dello Stato di diritto in un regime autoritario, il tentativo di conservare ciò che restava dei valori della civiltà giuridica liberale europea ed occidentale.

Cianferotti, G. (2015). L'opera giuridica di Mario Bracci tra le due guerre. STUDI SENESI, 127(2), 221-244.

L'opera giuridica di Mario Bracci tra le due guerre

CIANFEROTTI, GIULIO
2015-01-01

Abstract

Piero Calamandrei, Guido Zanobini e il filosofo del diritto Alessandro Bonucci furono i docenti della Facoltà senese che, assieme al magistero di Federico Cammeo, più influirono sulla formazione giuridica di Mario Bracci, come mostra anche la prima monografia di B. su "La proposta in diritto amministrativo" (1925). Questo libro incompiuto va ricordato nella storia della letteratura giuridica italiana tra le due guerre, perché la definizione della proposta come manifestazione di volontà potenziale o di desiderio giuridico risultò dominante nella dottrina italiana degli anni Trenta. E il suo impianto concettuale e lessicale è a fondamento anche della monografia "Dell'atto complesso in diritto amministrativo" (1927): nell’ottica della volontà i saggi di B. risultano definitivi (assieme ad essi, assai ricordato anche il saggio su "L'atto amministrativo inoppugnabile ed i limiti dell'esame del giudice civile", 1933). Accanto a scritti di pura dogmatica, B. pubblica in quegli anni anche studi giuridici che testimoniano le sue convinzioni ideali e politiche. Nel 1925 esce a Roma un libro su "Le pensioni di guerra", che a dispetto dell'apparente specialità del tema risulta un saggio canonico di teoria generale del diritto amministrativo (il primo a concepire la pensione di guerra come l’attribuzione del principio della responsabilità oggettiva dello Stato e la pensione stessa come un risarcimento del danno) e al contempo un argomento di vivissima attualità politica e sociale, perché le sue pagine divengono anche una rievocazione del duro scontro politico avvenuto nei primi mesi del 1923 tra il governo fascista e i combattenti e i mutilati, quell'“Italia di Vittorio Veneto” che esso sosteneva di aver condotto alla guida del Paese. Di notevole rilievo anche il libro del 1931 "Italia, S. Sede e Città del Vaticano" (1931), penetrante analisi giuridica svolta all'indomani dei Patti Lateranensi sul piano della teoria generale dello Stato, dei principi generali del diritto costituzionale e del diritto internazionale e fedele alla tradizione politica liberale. B. rifiuta alla Città del Vaticano la natura di soggetto di diritto internazionale per riconoscerla alla Santa Sede, mentre nega ad entrambe quella di Stato ed afferma di conseguenza la permanenza dell'“unità intangibile dello Stato italiano”. Nel 1927, B. aveva pubblicato una nota sulla "Correzione degli errori delle sentenze", un lavoro importante soprattutto perché interviene nel largo dibattito sulle fonti del diritto, sull'antica dicotomia tra equità e principi di legalità e di certezza del diritto, riaccesosi nei primi anni Venti dinanzi alla moltiplicazione delle giurisdizioni di equità durante la Grande Guerra. B. manifesta la propria fermissima fede in quei principi; e il valore della certezza del diritto rimane una nota costante dei suoi lavori durante l'intero ventennio tra le due guerre. Nel 1935 scriverà che “giuridicamente la libertà è sopra tutto certezza del diritto” ("Riflessioni sui profili pubblicisti del sequestro giudiziario", 1935) e il principio della certezza del diritto ispirerà anche l'ultimo scritto di quel periodo, il saggio del 1941 su "Le questioni e i conflitti di giurisdizione e di attribuzioni nel nuovo codice di procedura civile". Lo scritto appare un minuzioso e puntuale sforzo ermeneutico imposto dall'inserimento materiale nel codice delle vecchie norme della legge del 1877 sui conflitti di attribuzione e di giurisdizione, ma anche una difesa tenace dei principi dello Stato di diritto in un regime autoritario, il tentativo di conservare ciò che restava dei valori della civiltà giuridica liberale europea ed occidentale.
2015
Cianferotti, G. (2015). L'opera giuridica di Mario Bracci tra le due guerre. STUDI SENESI, 127(2), 221-244.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11365/989685