Una scena del film di David Fincher sul fondatore di Facebook, The social Network, mostra un giovane programmatore completamente immerso nel suo computer, intento a scrivere linee di codice software con un paio di cuffiette audio che lo legano quasi fisicamente al Pc. Uno degli altri due personaggi nella scena invita il secondo a non disturbarlo, dicendogli: “He’s wired in”. “E’ attaccato”, potremmo tradurre in italiano. Questa è una icastica ed efficace rappresentazione del significato di una delle nozioni più conosciute nel campo del’ Human Computer Interaction (HCI), quella del “flusso ottimale”. Il termine, introdotto da Csikszentmihaly (1990), e reso popolare da Donald Norman (1993) descrive lo stato in cui si trova, l’esperienza che vive chi, altamente motivato, è completamente assorbito in un’attività tanto da non accorgersi di altri eventi, anche rilevanti, che avvengono contemporaneamente e nello stesso luogo. Il “flusso ottimale” è da molti considerato un obiettivo primario del design: produrre una “esperienza immersiva” è, infatti, un’espressione spesso utilizzata per descrivere un design di successo, quando cioè un prodotto o un servizio assorbe l’utente tanto che questi desidera trascorrere con esso più tempo possibile, e senza che nulla possa lo disturbarlo. La nozione di flusso d’esperienza ottimale, come anche la pratica del design che lo persegue, tuttavia, stanno attraversando un periodo di evidente stanchezza: una ricerca del termine “optimal flow” nel contenuto dei libri pubblicati negli ultimi 20 anni, grazie a Google Books Ngram, mostra un picco di citazioni intorno alla metà degli anni ‘90, poi una leggera, lenta e continua discesa per tutti gli anni 2000. Negli ultimi tempi, e proprio nella rivista di riferimento per gli interaction designer (Interactions) compaiono termini e temi che sono diversi, se non in contrapposizione alle nozioni di flusso ottimale, di esperienza immersiva. Ad esempio, un recente articolo discute sull’importanza delle pause e dei momenti di transizione nel design (Danzico, 2010a), un altro parla addirittura di design della solitudine (Fullerton, 2010). Forse i tempi stanno cambiando, e si torna a parlare anche dei necessari momenti di riflessione nella esperienza, di quello che potremmo chiamare design per la riflessione, o design riflessivo. Ed questo contributo intende sviluppare questo tema.

Bagnara, S., Pozzi, S., Marti, P. (2012). Il design per la riflessione. In R. Rumiati (a cura di), Pensiero, azione, emozione : scritti in onore di Paolo Legrenzi (pp. 73-88). Bologna : Il Mulino.

Il design per la riflessione

Marti, Patrizia
2012-01-01

Abstract

Una scena del film di David Fincher sul fondatore di Facebook, The social Network, mostra un giovane programmatore completamente immerso nel suo computer, intento a scrivere linee di codice software con un paio di cuffiette audio che lo legano quasi fisicamente al Pc. Uno degli altri due personaggi nella scena invita il secondo a non disturbarlo, dicendogli: “He’s wired in”. “E’ attaccato”, potremmo tradurre in italiano. Questa è una icastica ed efficace rappresentazione del significato di una delle nozioni più conosciute nel campo del’ Human Computer Interaction (HCI), quella del “flusso ottimale”. Il termine, introdotto da Csikszentmihaly (1990), e reso popolare da Donald Norman (1993) descrive lo stato in cui si trova, l’esperienza che vive chi, altamente motivato, è completamente assorbito in un’attività tanto da non accorgersi di altri eventi, anche rilevanti, che avvengono contemporaneamente e nello stesso luogo. Il “flusso ottimale” è da molti considerato un obiettivo primario del design: produrre una “esperienza immersiva” è, infatti, un’espressione spesso utilizzata per descrivere un design di successo, quando cioè un prodotto o un servizio assorbe l’utente tanto che questi desidera trascorrere con esso più tempo possibile, e senza che nulla possa lo disturbarlo. La nozione di flusso d’esperienza ottimale, come anche la pratica del design che lo persegue, tuttavia, stanno attraversando un periodo di evidente stanchezza: una ricerca del termine “optimal flow” nel contenuto dei libri pubblicati negli ultimi 20 anni, grazie a Google Books Ngram, mostra un picco di citazioni intorno alla metà degli anni ‘90, poi una leggera, lenta e continua discesa per tutti gli anni 2000. Negli ultimi tempi, e proprio nella rivista di riferimento per gli interaction designer (Interactions) compaiono termini e temi che sono diversi, se non in contrapposizione alle nozioni di flusso ottimale, di esperienza immersiva. Ad esempio, un recente articolo discute sull’importanza delle pause e dei momenti di transizione nel design (Danzico, 2010a), un altro parla addirittura di design della solitudine (Fullerton, 2010). Forse i tempi stanno cambiando, e si torna a parlare anche dei necessari momenti di riflessione nella esperienza, di quello che potremmo chiamare design per la riflessione, o design riflessivo. Ed questo contributo intende sviluppare questo tema.
2012
9788815240231
Bagnara, S., Pozzi, S., Marti, P. (2012). Il design per la riflessione. In R. Rumiati (a cura di), Pensiero, azione, emozione : scritti in onore di Paolo Legrenzi (pp. 73-88). Bologna : Il Mulino.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11365/49326