L’oggetto della ricerca è costituito dall’influenza di lungo periodo della tecnica giuslavoristica teorizzata da Turati e sostenuta dal socialismo riformista, attraverso la ricostruzione dello scenario storico-giuridico alla base delle prime leggi del lavoro. Non si tratta dunque di enfatizzare o minimizzare, secondo giudizi di valore ideologico, le singole riforme ma riflettere sul percorso tecnico-istituzionale utilizzato per mettere in atto l’invenzione otto-novecentesca delle riforme sociali. Da questo punto di vista, l’esempio massimo è costituito dalla legge sull’impiego privato, emanata nel 1919 sulla base dell’impianto tratteggiato da Turati al Consiglio superiore del lavoro, con il pieno avallo tecnico di Orlando. Turati teorizza un intervento relativo a garanzie minime, ma irreversibili in quanto minime. La legge non deve inventare o reinventare i rapporti giuridici, espressione di rapporti di classe correggibili politicamente e non certo per decreto, ma tradurre sul piano formale le conquiste già ottenute, in modo tale da garantirle, da renderle immutabili verso il basso. In questo passaggio vi è la matrice storica della norma inderogabile alla base del diritto del lavoro novecentesco. Il cambio di passo rispetto alla legislazione sociale tardo ottocentesca è evidente: non si tratta più di descrivere il rapporto, ma di garantirlo con la sola previsione di limiti intoccabili, sottratti definitivamente alla privata contrattazione ma anche alla discrezionalità legislativa. Questa tecnica è teorizzata nel 1912 dopo un’ampia sperimentazione sul filo della mediazione politica che aveva già portato alla legge sul lavoro delle donne e dei minori, all’abolizione del lavoro notturno nel settore della panificazione, all’introduzione del riposo settimanale, alla creazione della Cassa di maternità e dell’Ispettorato del lavoro. Anche rispetto alla contrattazione collettiva, Turati interviene nel dibattito evidenziando i limiti tecnici dei modelli teorici emersi nel dibattito sulla riforma del contratto di lavoro. Il problema del contratto collettivo non può essere risolto con l’attribuzione dell’efficacia erga omnes senza aver risolto a monte la questione della sua natura giuridica. La superficialità del dibattito giuridico del resto non allontana i timori di un’eventuale torsione autoritaria in grado di stravolgere il significato del riconoscimento giuridico delle associazioni sindacali. Per avanzare nel percorso giuridico, il proletariato deve crescere e consolidarsi sul piano istituzionale, in posizione di autonomia, con percorsi di mediazione correlati al livello di complessità raggiunto. L’arbitrato diventa così il vero obbiettivo giuridico che non può essere raggiunto con una semplice legge calata dall’alto. La ricerca dei tratti identitari del diritto del lavoro porta alla luce anche nuclei tematici mai sviluppati in precedenza. La rilettura analitica della legislazione ottocentesca diventa preparatoria alla ricostruzione della legislazione sociale giolittiana, più evocata sul lungo periodo che realmente tematizzata da vicino. Una legislazione che si distingue da quella precedente (più pensata che realizzata) proprio per la diversa tecnica utilizzata: non più la descrizione del rapporto lavorativo con la prescrizione di condotte virtuose, ma secchi limiti all’autonomia privata. La parte finale del volume affronta i nodi giuridici del dopoguerra e i primi passi della legislazione fascista che vedono ancora Turati come attento osservatore alla ricerca di rimedi alla deriva autoritaria. Il volume si conclude con l’esordio giuslavoristico del primo governo Mussolini con la legge sulle otto ore e con la legge sindacale del 1926.

Passaniti, P. (2008). Filippo Turati giuslavorista. Il socialismo nelle origini del diritto del lavoro. Prefazione di Umberto Romagnoli. ROMA-BARI-MANDURIA : Piero Lacaita Editore.

Filippo Turati giuslavorista. Il socialismo nelle origini del diritto del lavoro. Prefazione di Umberto Romagnoli

PASSANITI, PAOLO
2008-01-01

Abstract

L’oggetto della ricerca è costituito dall’influenza di lungo periodo della tecnica giuslavoristica teorizzata da Turati e sostenuta dal socialismo riformista, attraverso la ricostruzione dello scenario storico-giuridico alla base delle prime leggi del lavoro. Non si tratta dunque di enfatizzare o minimizzare, secondo giudizi di valore ideologico, le singole riforme ma riflettere sul percorso tecnico-istituzionale utilizzato per mettere in atto l’invenzione otto-novecentesca delle riforme sociali. Da questo punto di vista, l’esempio massimo è costituito dalla legge sull’impiego privato, emanata nel 1919 sulla base dell’impianto tratteggiato da Turati al Consiglio superiore del lavoro, con il pieno avallo tecnico di Orlando. Turati teorizza un intervento relativo a garanzie minime, ma irreversibili in quanto minime. La legge non deve inventare o reinventare i rapporti giuridici, espressione di rapporti di classe correggibili politicamente e non certo per decreto, ma tradurre sul piano formale le conquiste già ottenute, in modo tale da garantirle, da renderle immutabili verso il basso. In questo passaggio vi è la matrice storica della norma inderogabile alla base del diritto del lavoro novecentesco. Il cambio di passo rispetto alla legislazione sociale tardo ottocentesca è evidente: non si tratta più di descrivere il rapporto, ma di garantirlo con la sola previsione di limiti intoccabili, sottratti definitivamente alla privata contrattazione ma anche alla discrezionalità legislativa. Questa tecnica è teorizzata nel 1912 dopo un’ampia sperimentazione sul filo della mediazione politica che aveva già portato alla legge sul lavoro delle donne e dei minori, all’abolizione del lavoro notturno nel settore della panificazione, all’introduzione del riposo settimanale, alla creazione della Cassa di maternità e dell’Ispettorato del lavoro. Anche rispetto alla contrattazione collettiva, Turati interviene nel dibattito evidenziando i limiti tecnici dei modelli teorici emersi nel dibattito sulla riforma del contratto di lavoro. Il problema del contratto collettivo non può essere risolto con l’attribuzione dell’efficacia erga omnes senza aver risolto a monte la questione della sua natura giuridica. La superficialità del dibattito giuridico del resto non allontana i timori di un’eventuale torsione autoritaria in grado di stravolgere il significato del riconoscimento giuridico delle associazioni sindacali. Per avanzare nel percorso giuridico, il proletariato deve crescere e consolidarsi sul piano istituzionale, in posizione di autonomia, con percorsi di mediazione correlati al livello di complessità raggiunto. L’arbitrato diventa così il vero obbiettivo giuridico che non può essere raggiunto con una semplice legge calata dall’alto. La ricerca dei tratti identitari del diritto del lavoro porta alla luce anche nuclei tematici mai sviluppati in precedenza. La rilettura analitica della legislazione ottocentesca diventa preparatoria alla ricostruzione della legislazione sociale giolittiana, più evocata sul lungo periodo che realmente tematizzata da vicino. Una legislazione che si distingue da quella precedente (più pensata che realizzata) proprio per la diversa tecnica utilizzata: non più la descrizione del rapporto lavorativo con la prescrizione di condotte virtuose, ma secchi limiti all’autonomia privata. La parte finale del volume affronta i nodi giuridici del dopoguerra e i primi passi della legislazione fascista che vedono ancora Turati come attento osservatore alla ricerca di rimedi alla deriva autoritaria. Il volume si conclude con l’esordio giuslavoristico del primo governo Mussolini con la legge sulle otto ore e con la legge sindacale del 1926.
2008
9788889506394
88 89506 39 3
Passaniti, P. (2008). Filippo Turati giuslavorista. Il socialismo nelle origini del diritto del lavoro. Prefazione di Umberto Romagnoli. ROMA-BARI-MANDURIA : Piero Lacaita Editore.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11365/39207