Il sistema di opportunità che caratterizza il contesto sociale nel quale viviamo, è improntato ad una promessa di benessere illimitato, prevalentemente definito dal possesso di beni materiali e status sociali. A tale stato di cose contribuiscono in modo determinante i media, che che esaltano in vario modo l’importanza di tali beni e status. A partire da questa tesi, che costituisce il fulcro del libro di M. De Luca, Enrico Cheli sviluppa nella prefazione alcune considerazioni sui nessi tra media, mutamento culturale e crisi economica. In primo luogo evidenzia i limiti dell’equazione «più sviluppo economico uguale più felicità»; sebbene i media insistano che il PIL (prodotto interno lordo) deve tornare a crescere e che questo è l’unico modo per continuare a stare bene come prima, tale equazione è sempre più sospetta e un numero crescente di persone (inclusi alcuni economisti) è ormai convinto che la felicità sia semmai connessa alla decrescita economica e ad una maggiore attenzione agli aspetti qualitativi della vita invece che a quelli meramente quantitativo-materiali. Dovremmo tutti ricordare che la ricchezza è solo un mezzo, non un fine: le persone desiderano la ricchezza economica per ottenere, suo tramite, la felicità. Ora sappiamo che la prima è un fattore certamente importante per il raggiungimento della seconda, ma solo limitatamente alla soddisfazione dei bisogni legati alla sopravvivenza e al benessere materiale mentre non può influire più di tanto sugli altri numerosi e importanti bisogni dell’individuo, da quelli affettivi a quelli esistenziali; pertanto la ricchezza economica può essere utile per avvicinarsi alla felicità, ma solo fino ad un certo punto: essa è come un treno con cui percorrere la prima tappa del viaggio, ma dal quale bisogna poi scendere, per proseguire verso altre direzioni e con veicoli di altro genere. Se ci si ostina a rimanere su quel treno, si perderà la meta – la felicità - perché– superata la stazione giusta – ulteriori incrementi economici non ci avvicinano ad essa ma anzi ce ne allontanano: per lo stress, per le energie sprecate nella sterile ricerca di miraggi e surrogati, e soprattutto perché si lasciano insoddisfatti bisogni fondamentali che non dipendono dal denaro. Sempre più persone in occidente hanno capito che bisogna scendere dal “treno”, e che per essere più felici e vivere in modo più pacifico, consapevole e ecosostenibile occorre cambiare radicalmente certe convinzioni e valori. Alcune ricerche internazionali (Cheli E., Montecucco N.F., 2009) mostrano che tali soggetti costituiscono una quota tutt’altro che esigua della popolazione adulta, ammontando a circa il 35%. Il sociologo americano Paul Ray li ha definiti “creativi culturali”, vale a dire i creatori attivi di una nuova cultura. Il lavoro di De Luca è sostanzialmente in linea con questo punto di vista in quanto mette in evidenza che gran parte della insoddisfazione individuale e collettiva che caratterizza l’epoca attuale non dipende tanto da carenze oggettive di beni o servizi ma da supposte carenze che emergono dal confronto con quanto posseduto da altri soggetti o gruppi. In altri termini, l’insoddisfazione non dipende da una deprivazione in senso assoluto ma da una deprivazione relativa. In effetti, in senso assoluto oggi abbiamo, molti, molti più beni e servizi di quanto possedessimo cinquant’anni fa, eppure siamo molto meno soddisfatti e felici. Per questo molti, come i creativi culturali, si stanno orientando verso nuovi orizzonti, meno dipendenti dalla ricchezza economica e più legati alla qualità della vita e alla creatività. Tuttavia, affinché tale fenomeno si estenda occorre sviluppare la capacità critica di mettere in discussione i valori e le mete meramente utilitaristiche proposte dai principali portavoce della cultura dominante: i media.

Cheli, E. (2012). Prefazione [a Modelli sociali e aspettative], 11-15.

Prefazione [a Modelli sociali e aspettative]

CHELI, ENRICO
2012-01-01

Abstract

Il sistema di opportunità che caratterizza il contesto sociale nel quale viviamo, è improntato ad una promessa di benessere illimitato, prevalentemente definito dal possesso di beni materiali e status sociali. A tale stato di cose contribuiscono in modo determinante i media, che che esaltano in vario modo l’importanza di tali beni e status. A partire da questa tesi, che costituisce il fulcro del libro di M. De Luca, Enrico Cheli sviluppa nella prefazione alcune considerazioni sui nessi tra media, mutamento culturale e crisi economica. In primo luogo evidenzia i limiti dell’equazione «più sviluppo economico uguale più felicità»; sebbene i media insistano che il PIL (prodotto interno lordo) deve tornare a crescere e che questo è l’unico modo per continuare a stare bene come prima, tale equazione è sempre più sospetta e un numero crescente di persone (inclusi alcuni economisti) è ormai convinto che la felicità sia semmai connessa alla decrescita economica e ad una maggiore attenzione agli aspetti qualitativi della vita invece che a quelli meramente quantitativo-materiali. Dovremmo tutti ricordare che la ricchezza è solo un mezzo, non un fine: le persone desiderano la ricchezza economica per ottenere, suo tramite, la felicità. Ora sappiamo che la prima è un fattore certamente importante per il raggiungimento della seconda, ma solo limitatamente alla soddisfazione dei bisogni legati alla sopravvivenza e al benessere materiale mentre non può influire più di tanto sugli altri numerosi e importanti bisogni dell’individuo, da quelli affettivi a quelli esistenziali; pertanto la ricchezza economica può essere utile per avvicinarsi alla felicità, ma solo fino ad un certo punto: essa è come un treno con cui percorrere la prima tappa del viaggio, ma dal quale bisogna poi scendere, per proseguire verso altre direzioni e con veicoli di altro genere. Se ci si ostina a rimanere su quel treno, si perderà la meta – la felicità - perché– superata la stazione giusta – ulteriori incrementi economici non ci avvicinano ad essa ma anzi ce ne allontanano: per lo stress, per le energie sprecate nella sterile ricerca di miraggi e surrogati, e soprattutto perché si lasciano insoddisfatti bisogni fondamentali che non dipendono dal denaro. Sempre più persone in occidente hanno capito che bisogna scendere dal “treno”, e che per essere più felici e vivere in modo più pacifico, consapevole e ecosostenibile occorre cambiare radicalmente certe convinzioni e valori. Alcune ricerche internazionali (Cheli E., Montecucco N.F., 2009) mostrano che tali soggetti costituiscono una quota tutt’altro che esigua della popolazione adulta, ammontando a circa il 35%. Il sociologo americano Paul Ray li ha definiti “creativi culturali”, vale a dire i creatori attivi di una nuova cultura. Il lavoro di De Luca è sostanzialmente in linea con questo punto di vista in quanto mette in evidenza che gran parte della insoddisfazione individuale e collettiva che caratterizza l’epoca attuale non dipende tanto da carenze oggettive di beni o servizi ma da supposte carenze che emergono dal confronto con quanto posseduto da altri soggetti o gruppi. In altri termini, l’insoddisfazione non dipende da una deprivazione in senso assoluto ma da una deprivazione relativa. In effetti, in senso assoluto oggi abbiamo, molti, molti più beni e servizi di quanto possedessimo cinquant’anni fa, eppure siamo molto meno soddisfatti e felici. Per questo molti, come i creativi culturali, si stanno orientando verso nuovi orizzonti, meno dipendenti dalla ricchezza economica e più legati alla qualità della vita e alla creatività. Tuttavia, affinché tale fenomeno si estenda occorre sviluppare la capacità critica di mettere in discussione i valori e le mete meramente utilitaristiche proposte dai principali portavoce della cultura dominante: i media.
2012
9788854846456
Cheli, E. (2012). Prefazione [a Modelli sociali e aspettative], 11-15.
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