I reperti cartacei dell'opera comica napoletana testi, frammenti musicali, rari spartiti e documenti consentono di ricostruire la storia dei suoi fumiganti teatri in legno, dei direttori che li gestivano, degli attori, ballerini e musicisti che vi recitavano, cantavano, ballavano e suonavano; degli artigiani che approntavano le scene, dipingevano i fondali, confezionavano gli abiti e le scarpe, le parrucche, i guanti e le armi finte; degli addetti che vendevano sorbetti e «cerini», trasportavano le lettighe, smorzavano le candele, pulivano la platea e i palchetti, sorvegliavano l'entrata. Attraverso queste fonti è possibile osservare i tratti di un genere complesso, che si realizzava sulla scena con il lavoro di molte persone: impresari, librettisti, musicisti, cantanti e maestranze; richiedeva il dinamismo di intraprendenti appaltatori, si muoveva tra le difficoltà di un ambiente litigioso e le alterne fortune degli interpreti. Il genere diventava una moda della società settecentesca, generata e realizzata a Napoli, testo dopo testo, nella lingua locale. Il pubblico dell'opera comica, entità capricciosa e imprevedibile, era formato da spettatori poco disponibili ai rituali del teatro eroico, ma conoscitori dei generi dello spettacolo da strada che volevano ridere o commuoversi per le situazioni, espressioni e vicende amorose del popolo medio-basso, il «popolo civile» e la «plebe», per usare i termini di allora. Gli aristocratici frequentatori dei palchetti del Teatro dei Fiorentini provavano il piacere diascoltare, nella dimensione dello spettacolo, i dialoghi e le baruffe di garzoni, pescatori e ortolani. La commeddeja pe museca di primo Settecento soddisfaceva un'attesa e una intima curiosità. Il rapporto tra argomento dell'azione scenica e status del pubblico, la vita quotidiana del popolo basso come oggetto di divertimento sono le chiavi di lettura dell'opera comica napoletana. L'opera comica occupava rapidamente uno spazio intermedio, fino ad allora inesistente nel costume teatrale cittadino, tra il dramma per musica e lo spettacolo da piazza. Il nuovo genere si rivelava gradualmente come polo di intersezione costruttivo, anche di difficile confronto tra diverse categorie di spettatori, soprattutto quando gli impresari decidevano di rinunciare in parte agli abbonamenti annuali dei palchi e di consentire l'accesso ai teatri a chiunque fosse in grado di pagare il biglietto. Un'occasione sociale che favoriva la prossimità dei ceti e metteva in gioco il ruolo e i privilegi dei «cavalieri» che sedevano nei palchetti e partecipavano allo spettacolo confusi tra altri spettatori.

Lombardi, C. (a cura di). (2007). L'opera comica napoletana (1709-1749). Teorie, autori, libretti e documenti di un genere del teatro italiano , a cura di Carmela Lombardi. NAPOLI : Liguori.

L'opera comica napoletana (1709-1749). Teorie, autori, libretti e documenti di un genere del teatro italiano , a cura di Carmela Lombardi

LOMBARDI, CARMELA
2007-01-01

Abstract

I reperti cartacei dell'opera comica napoletana testi, frammenti musicali, rari spartiti e documenti consentono di ricostruire la storia dei suoi fumiganti teatri in legno, dei direttori che li gestivano, degli attori, ballerini e musicisti che vi recitavano, cantavano, ballavano e suonavano; degli artigiani che approntavano le scene, dipingevano i fondali, confezionavano gli abiti e le scarpe, le parrucche, i guanti e le armi finte; degli addetti che vendevano sorbetti e «cerini», trasportavano le lettighe, smorzavano le candele, pulivano la platea e i palchetti, sorvegliavano l'entrata. Attraverso queste fonti è possibile osservare i tratti di un genere complesso, che si realizzava sulla scena con il lavoro di molte persone: impresari, librettisti, musicisti, cantanti e maestranze; richiedeva il dinamismo di intraprendenti appaltatori, si muoveva tra le difficoltà di un ambiente litigioso e le alterne fortune degli interpreti. Il genere diventava una moda della società settecentesca, generata e realizzata a Napoli, testo dopo testo, nella lingua locale. Il pubblico dell'opera comica, entità capricciosa e imprevedibile, era formato da spettatori poco disponibili ai rituali del teatro eroico, ma conoscitori dei generi dello spettacolo da strada che volevano ridere o commuoversi per le situazioni, espressioni e vicende amorose del popolo medio-basso, il «popolo civile» e la «plebe», per usare i termini di allora. Gli aristocratici frequentatori dei palchetti del Teatro dei Fiorentini provavano il piacere diascoltare, nella dimensione dello spettacolo, i dialoghi e le baruffe di garzoni, pescatori e ortolani. La commeddeja pe museca di primo Settecento soddisfaceva un'attesa e una intima curiosità. Il rapporto tra argomento dell'azione scenica e status del pubblico, la vita quotidiana del popolo basso come oggetto di divertimento sono le chiavi di lettura dell'opera comica napoletana. L'opera comica occupava rapidamente uno spazio intermedio, fino ad allora inesistente nel costume teatrale cittadino, tra il dramma per musica e lo spettacolo da piazza. Il nuovo genere si rivelava gradualmente come polo di intersezione costruttivo, anche di difficile confronto tra diverse categorie di spettatori, soprattutto quando gli impresari decidevano di rinunciare in parte agli abbonamenti annuali dei palchi e di consentire l'accesso ai teatri a chiunque fosse in grado di pagare il biglietto. Un'occasione sociale che favoriva la prossimità dei ceti e metteva in gioco il ruolo e i privilegi dei «cavalieri» che sedevano nei palchetti e partecipavano allo spettacolo confusi tra altri spettatori.
2007
9788820740566
Lombardi, C. (a cura di). (2007). L'opera comica napoletana (1709-1749). Teorie, autori, libretti e documenti di un genere del teatro italiano , a cura di Carmela Lombardi. NAPOLI : Liguori.
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