Il sistema dei servizi sociali in Italia si è da sempre caratterizzato per la natura selettiva e categoriale degli interventi predisposti a favore dei soggetti destinatari dei medesimi. La legge n. 328/00 ha costituito un momento di svolta,introducendo, tra i propri principi ispiratori, l’universalismo delle prestazioni socio-assistenziali (pur mitigato dalla componente selettiva). In realtà a ben guardare più volte nel nostro ordinamento si sono registrati tentativi per l’adozione di un welfare ispirato ai principi universalistici, anche se poi in concreto non hanno avuto una pratica attuazione, sia per la scarsità delle risorse economiche, sia per la consolidata struttura categoriale e particolaristica del nostro sistema assistenziale. In Italia lo Stato sociale si è connotato per il difficile affermarsi del diritto dell’utente dei servizi sociali come diritto dell’individuo universalmente riconosciuto e tutelato. Infatti il diritto all’assistenza sociale si è caratterizzato non come diritto della persona in sé, quanto piuttosto come diritto del soggetto riconducibile ad una delle note categorie (ciechi, invalidi ..). Nel presente lavoro si è cercato di evidenziare, attraverso una ricostruzione storica e definitoria dei servizi sociali, come difficile sia stata e lo sia il riconoscimento (universale) e la conseguente tutela del diritto all’assistenza sociale: in primo luogo perché ancora oggi, nonostante le aperture della legge quadro, si parla ancora di diritto dell’utente dei servizi sociali come diritto del cittadino e non come diritto della persona umana; in secondo luogo perché anche dopo l’emanazione della legge 328 il legislatore ha approvato leggi settoriali disciplinanti singole categorie di assistibili. Occorre evidenziare poi che la nozione stessa di servizi sociali è stata ed è oggetto di un acceso dibattito teso ad individuarne la portata ed i confini. Il problema, infatti, concerne la questione dell’identificazione della nozione servizi sociali che per taluno resta ancora una questione indefinita. Altro aspetto esaminato è quello relativo al contenuto dei diritto degli utenti dei servizi sociali e alla sua natura come diritto di tutti. Affermare che un certo nucleo di diritti è garantito universalmente significa riconoscere i medesimi come diritti di tutti. La trattazione dell’universalismo coinvolge anche il concetto di cittadinanza, che nel presente lavoro è stato esaminato nella sua duplice accezione, avendo cura di effettuare una differenziazione tra la concezione giuridica e sociologica di cittadinanza che permea i primi articoli della legge quadro sul sistema integrato di interventi e servizi sociali. Invero il merito della legge 328 è quello di aver utilizzato come criterio fondante il principio dell’universalità quanto ai potenziali destinatari del servizio, se pur temperato da aspetti di selettività quanto all’erogazione delle prestazioni (vengono stabilite delle priorità quanto all’accesso alle prestazioni e ai servizi). Nella legge quadro si prevedono come universalmente garantite le prestazioni riconducibili ai livelli essenziali, introdotti per la prima volta nel campo dell’assistenza sociale dalla legge quadro. L’accesso prioritario alle prestazioni non è limitato solo ai soggetti inabili al lavoro e agli indigenti (come prevede l’art.38 Cost), ma si prevede un ampliamento della sfera soggettiva dei destinatari, riconducendovi coloro che versano in condizioni “di difficoltà, di inserimento nella vita sociale attiva, nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali” (art.2, c. 3 della legge n. 328). La trattazione del tema dei livelli essenziali ha rappresentato una parte centrale nello svolgimento della ricerca perché strettamente collegata alla portata ed ai contenuti dei diritti ed altresì al loro riconoscimento e tutela, si è pertanto cercato di approfondire il contenuto, il significato e le accezioni con cui il termine livelli essenziali è stato interpretato nel dibattito scientifico. Il nuovo titolo V costituzionalizza la figura dei livelli essenziali di assistenza, affidando alla potestà legislativa statale la loro determinazione. Parimenti la riforma costituzionale assegna alle regioni la potestà legislativa esclusiva in materia di servizi sociali e se, da una parte, nel dettare il riordino del sistema dei servizi sociali, si valorizza l’autonomia delle regioni, ponendo attenzione ai bisogni ed alle esigenze delle comunità di riferimento, dall’altra sorge il timore che l’eccessiva differenziazione di disciplina crei una forte diseguaglianza tra le posizioni soggettive dei destinatari dei diversi ambiti territoriali, originando una sorta di selettività geografica.La formula costituzionale sui livelli essenziali, tuttavia, dovrebbe fungere da strumento di garanzia di eguaglianza ed uniformità dei diritti sociali in tutto il territorio nazionale. L’identificazione dei contenuti essenziali dovrebbe infatti risolvere i problemi che affliggono i sistemi di welfare, realizzando politiche sociali più efficaci in termini di eguaglianza e di universalità, in un contesto che sempre più richiede la razionalizzazione delle risorse finanziarie disponibili. Le recenti leggi regionali che hanno disciplinato la materia, dopo la novella Costituzionale, hanno assunto come riferimento l’universalità della legge quadro, ma in certi casi sono andati oltre (come nel caso della proposta di legge del Friuli Venezia Giulia) sostituendo all’universalismo selettivo l’“universalismo solidale”, il quale prevede il finanziamento delle politiche di welfare attraverso il ricorso alla fiscalità generale di tutti i cittadini, la compartecipazione al costo delle prestazioni - in forza del quale il cittadino che si trova in condizione più fortunata coofinanzia la prestazione di cui usufruisce, contribuendo in tal modo a sollevare in toto o in parte l’onere economico del cittadino in condizione meno fortunata - ed infine attraverso la creazione di un legame solidale fra i Comuni che gestiscono i servizi in forma associata. Se in un’ottica di insieme molto giocherà la determinazione del contenuto dei livelli essenziali in punto di uniformità ed eguaglianza di diritti, una volta individuato dallo Stato il valore soglia al di sotto del quale vi è compressione dei diritti degli utenti dei servizi, molto sarà demandato ai legislatori regionali i quali potranno promuovere welfare regionali improntati su un modello universalistico più o meno selettivo nella speranza che in futuro le scelte ed i percorsi da seguire siano sempre meno condizionati dalla penuria delle risorse.

Gualdani, A. (2007). I servizi sociali tra universalismo e selettività. MILANO : Giuffrè.

I servizi sociali tra universalismo e selettività

GUALDANI, ANNALISA
2007-01-01

Abstract

Il sistema dei servizi sociali in Italia si è da sempre caratterizzato per la natura selettiva e categoriale degli interventi predisposti a favore dei soggetti destinatari dei medesimi. La legge n. 328/00 ha costituito un momento di svolta,introducendo, tra i propri principi ispiratori, l’universalismo delle prestazioni socio-assistenziali (pur mitigato dalla componente selettiva). In realtà a ben guardare più volte nel nostro ordinamento si sono registrati tentativi per l’adozione di un welfare ispirato ai principi universalistici, anche se poi in concreto non hanno avuto una pratica attuazione, sia per la scarsità delle risorse economiche, sia per la consolidata struttura categoriale e particolaristica del nostro sistema assistenziale. In Italia lo Stato sociale si è connotato per il difficile affermarsi del diritto dell’utente dei servizi sociali come diritto dell’individuo universalmente riconosciuto e tutelato. Infatti il diritto all’assistenza sociale si è caratterizzato non come diritto della persona in sé, quanto piuttosto come diritto del soggetto riconducibile ad una delle note categorie (ciechi, invalidi ..). Nel presente lavoro si è cercato di evidenziare, attraverso una ricostruzione storica e definitoria dei servizi sociali, come difficile sia stata e lo sia il riconoscimento (universale) e la conseguente tutela del diritto all’assistenza sociale: in primo luogo perché ancora oggi, nonostante le aperture della legge quadro, si parla ancora di diritto dell’utente dei servizi sociali come diritto del cittadino e non come diritto della persona umana; in secondo luogo perché anche dopo l’emanazione della legge 328 il legislatore ha approvato leggi settoriali disciplinanti singole categorie di assistibili. Occorre evidenziare poi che la nozione stessa di servizi sociali è stata ed è oggetto di un acceso dibattito teso ad individuarne la portata ed i confini. Il problema, infatti, concerne la questione dell’identificazione della nozione servizi sociali che per taluno resta ancora una questione indefinita. Altro aspetto esaminato è quello relativo al contenuto dei diritto degli utenti dei servizi sociali e alla sua natura come diritto di tutti. Affermare che un certo nucleo di diritti è garantito universalmente significa riconoscere i medesimi come diritti di tutti. La trattazione dell’universalismo coinvolge anche il concetto di cittadinanza, che nel presente lavoro è stato esaminato nella sua duplice accezione, avendo cura di effettuare una differenziazione tra la concezione giuridica e sociologica di cittadinanza che permea i primi articoli della legge quadro sul sistema integrato di interventi e servizi sociali. Invero il merito della legge 328 è quello di aver utilizzato come criterio fondante il principio dell’universalità quanto ai potenziali destinatari del servizio, se pur temperato da aspetti di selettività quanto all’erogazione delle prestazioni (vengono stabilite delle priorità quanto all’accesso alle prestazioni e ai servizi). Nella legge quadro si prevedono come universalmente garantite le prestazioni riconducibili ai livelli essenziali, introdotti per la prima volta nel campo dell’assistenza sociale dalla legge quadro. L’accesso prioritario alle prestazioni non è limitato solo ai soggetti inabili al lavoro e agli indigenti (come prevede l’art.38 Cost), ma si prevede un ampliamento della sfera soggettiva dei destinatari, riconducendovi coloro che versano in condizioni “di difficoltà, di inserimento nella vita sociale attiva, nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali” (art.2, c. 3 della legge n. 328). La trattazione del tema dei livelli essenziali ha rappresentato una parte centrale nello svolgimento della ricerca perché strettamente collegata alla portata ed ai contenuti dei diritti ed altresì al loro riconoscimento e tutela, si è pertanto cercato di approfondire il contenuto, il significato e le accezioni con cui il termine livelli essenziali è stato interpretato nel dibattito scientifico. Il nuovo titolo V costituzionalizza la figura dei livelli essenziali di assistenza, affidando alla potestà legislativa statale la loro determinazione. Parimenti la riforma costituzionale assegna alle regioni la potestà legislativa esclusiva in materia di servizi sociali e se, da una parte, nel dettare il riordino del sistema dei servizi sociali, si valorizza l’autonomia delle regioni, ponendo attenzione ai bisogni ed alle esigenze delle comunità di riferimento, dall’altra sorge il timore che l’eccessiva differenziazione di disciplina crei una forte diseguaglianza tra le posizioni soggettive dei destinatari dei diversi ambiti territoriali, originando una sorta di selettività geografica.La formula costituzionale sui livelli essenziali, tuttavia, dovrebbe fungere da strumento di garanzia di eguaglianza ed uniformità dei diritti sociali in tutto il territorio nazionale. L’identificazione dei contenuti essenziali dovrebbe infatti risolvere i problemi che affliggono i sistemi di welfare, realizzando politiche sociali più efficaci in termini di eguaglianza e di universalità, in un contesto che sempre più richiede la razionalizzazione delle risorse finanziarie disponibili. Le recenti leggi regionali che hanno disciplinato la materia, dopo la novella Costituzionale, hanno assunto come riferimento l’universalità della legge quadro, ma in certi casi sono andati oltre (come nel caso della proposta di legge del Friuli Venezia Giulia) sostituendo all’universalismo selettivo l’“universalismo solidale”, il quale prevede il finanziamento delle politiche di welfare attraverso il ricorso alla fiscalità generale di tutti i cittadini, la compartecipazione al costo delle prestazioni - in forza del quale il cittadino che si trova in condizione più fortunata coofinanzia la prestazione di cui usufruisce, contribuendo in tal modo a sollevare in toto o in parte l’onere economico del cittadino in condizione meno fortunata - ed infine attraverso la creazione di un legame solidale fra i Comuni che gestiscono i servizi in forma associata. Se in un’ottica di insieme molto giocherà la determinazione del contenuto dei livelli essenziali in punto di uniformità ed eguaglianza di diritti, una volta individuato dallo Stato il valore soglia al di sotto del quale vi è compressione dei diritti degli utenti dei servizi, molto sarà demandato ai legislatori regionali i quali potranno promuovere welfare regionali improntati su un modello universalistico più o meno selettivo nella speranza che in futuro le scelte ed i percorsi da seguire siano sempre meno condizionati dalla penuria delle risorse.
2007
9788814136061
Gualdani, A. (2007). I servizi sociali tra universalismo e selettività. MILANO : Giuffrè.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11365/16750